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giovedì, 28 Marzo, 2024

Dalle terre rare passa il futuro dell’Europa. Dipendiamo dalla Cina, ma l’Italia può cambiare la storia

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di Gabriele Rizza

Chiunque sia abbastanza vecchio da aver letto nel corso degli anni quanto l’OPEC abbia un potere geopolitico e di condizionamento economico a livello globale, aldilà della sua funzione di riunione dei Paesi produttori di idrocarburi, non si meraviglierà di sapere che questi controllano il 41% della produzione mondiale di petrolio. Adesso, prendete la Cina, e pensate quanto potere ha ad oggi – e quanto ne potrà avere domani se Europa ed USA resteranno a guardare – immaginando che controlla circa il 60% delle terre rare, producendo l’85% degli ossidi e rappresentando oltre il 95% della produzione di terre rare, senza considerare che detiene il controllo sul 90% dei giacimenti di litio, fondamentali per la produzione di prodotti di largo consumo (smartphone, Pc, tablet…), tutto mentre siamo all’alba dell’era dell’auto elettrica, quella a batterie. Immaginate questo stato delle cose, credetela realtà e pensate quanto potere ha oggi e in prospettiva, molto di più dei famosissimi Paesi associati nell’OPEC.
Non solo la Cina ha uno strapotere nell’estrazione, ma lo ha anche nella produzione. Immaginate i possibili disagi. Come quelli della carenza dei chip per le automobili, che hanno dimostrato quanto, in nome delle delocalizzazioni e del profitto nel breve termine, l’Occidente è rimasto incredibilmente indietro nei futuri settori strategici dell’industria e delle materie prime. La Cina ha voluto destinare la produzione per le proprie auto e per i PC (vista l’alta richiesta legata agli stili di vita della pandemia) e l’industria europea è rimasta con il cerino in mano. Ma siamo solo all’inizio, perché le terre rare saranno per questo secolo quello che è stato il carbone a inizio ottocento e il petrolio nel novecento.
L’Europa importa circa 16.000 tonnellate all’anno di magneti in terre rare dalla Cina, che rappresentano circa il 98% del proprio fabbisogno. Quantità destinate a salire con la crescita dei veicoli elettrici, che avrà un business mondiale da 400 miliardi entro il 2030, con milioni di posti di lavoro in bilico, in bene o in male. Eppure l’Italia, paese povero di materie prime, in futuro potrà cambiare la propria sorte: “Abbiamo una cassaforte piena di ricchezza sepolta nel terreno e non la tiriamo fuori“, dichiarò Andrea Ketoff nel 2013, direttore generale di Assomineraria. Si tratta dei più grandi bacini europei e i secondi a livello mondiale di Antimonio e Titanio, due delle cosiddette terre rare.
Ma non basterà più il libero mercato; per reggere le sfide future è ora che la politica guidi il comune destino delle economie europee, perché l’economia non è solo business, è sicurezza nazionale, opportunità e giustizia sociale.

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