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giovedì, 10 Ottobre, 2024

#conosciiltuosguardo. Il Dio crocifisso

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di Angelo Portale

[segue]

Il cristianesimo è saldamente fondato su qualcosa che non potrà mai crollare. Scriveva il filosofo gesuita Xavier Xilliette: «La roccia della fede cristiana è una roccia di dolore a fior di terra […] all’ardente singhiozzo che risuona da un’epoca all’altra, il cristianesimo in silenzio propone, come l’indice puntato del quadro di Grünewald, l’immagine e l’effigie di un Dio esangue e crocifisso».
Il cristianesimo appare come l’unica concezione che riesce a dare un significato al male e con ciò a fornire una spiegazione anche alla sofferenza. Lontane dal cristianesimo, le realtà del male e della sofferenza, risulterebbero incomprensibili o al massimo sarebbero cancellate da semplici spiegazioni, all’interno di un pensiero meramente astratto e razionalistico.
Nel cogliere l’origine di ogni male nella sua radice più antica, ch’è l’abisso divino, nell’essere consapevole che il cuore della realtà è tragico e dolorante e costantemente dilaniato dal conflitto tra bene e male, gioia e dolore, colpa e pena (trovandovi in tutto ciò il nesso di una solidarietà universale-umana nella colpa e divino\umana nell’espiazione), il cristianesimo è l’unico fatto che comprende il negativo, cioè che riesce a contenerlo, a porlo all’interno di un orizzonte di comprensione che è il senso cristiano, e a spiegarlo tramite la persona di Cristo dentro tale cornice. Quell’ammanco di sofferenza, che corrisponde deficitariamente ad un eccesso di male e che provoca nell’economia dell’universo un immenso sbilanciamento, crea un credito difficilissimo da saldare. La situazione rimane così smisuratamente deficitaria che sorge la necessità di ricorrere alla sofferenza degli innocenti e ulteriormente a quella di Dio: «Solo l’incommensurabilità divina rende possibile il pareggio».
Se non si accetta questa prospettiva, il mondo cade nell’assurdità più completa, e a chi dice che una concezione del genere potrebbe accettarla e crederla solo un inetto, risponde con Kierkegaard: «Si tratta di scegliere tra due assurdità […] c’è l’assurdità del non senso e l’assurdità del paradosso, e solo quest’ultima contiene la verità». In tale assurdità paradossale il cristianesimo è il fatto cruciale, quel fatto irriducibile sia a fenomeno culturale che a orizzonte definitivo del pensare. Proprio nel decisivo problema\mistero della sofferenza, il cristianesimo si distingue dalle altre grandi religioni costrette a sopprimere il dolore o a pagarlo in una tormentosa e spersonalizzante reincarnazione.
Non bisogna sopprimere il dolore. Fare ciò significherebbe, per il cristianesimo, sopprimere la realtà. Ad esso bisogna saper trovare un senso e, in tale orizzonte di comprensione, trasformarlo. Il cristiano sa che il dolore non diminuisce la sua dignità, né lo depaupera, anzi lo unifica, lo completa, lo rende “aristocratico”, e oltre ad espiare per sé e per gli altri gli dona un aumento della personalità.

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