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giovedì, 10 Ottobre, 2024

Il Rendiconto di Alan Patarga – PERCHÈ LA DECRESCITA NON È MAI FELICE

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Il dibattito sulla natalità in Italia – non privo di veleni, gaffes e volgarità – è finalmente arrivato al centro dell’agone politico. In questa rubrica ce ne siamo occupati spesso, l’ultima volta un paio di settimane fa e al di là di qualche battuta infelice e di una vignetta di pessimo gusto il dato che emerge inconfutabilmente è che la decrescita demografica non può essere in nessun caso una bella notizia, di sicuro non per l’economia.

IL PARADOSSO GIORGETTI

Così, accade che nel Documento di economia e finanza (Def) appena presentato dal governo Meloni e opera del ministero guidato dal leghista Giancarlo Giorgetti ci sia scritto – né più né meno – che un aumento del 33% dell’immigrazione nel nostro Paese porterebbe a un calo del debito pubblico di “oltre 30 punti” entro il 2070 e che le altre variabili (speranza di vita, che aumenta e non modifica di molto le previsioni) e fertilità (che cala e fa aumentare il debito) non sarebbero sostanzialmente in grado di invertire la rotta. Altro che la “sostituzione etnica” temuta dal ministro Lollobrigida e da molti stigmatizzata: il numero due del Carroccio dice, di fatto, che senza arrivi dall’estero i conti pubblici alla lunga non reggerebbero.

BONUS E DETRAZIONI

Parole che hanno fatto scalpore, ma che lo stesso Giorgetti ha tenuto a precisare. Quella cifra, dice, corrisponde grossomodo alle quote flussi che l’esecutivo ha in mente di approvare nei prossimi anni. I circa 80 mila immigrati, cioè, che lo stesso governo in carica riconosce di essere necessari a coprire i buchi del nostro mercato del lavoro. Un’osservazione che ha però dato ulteriore spinta a chi invoca – dentro e fuori la maggioranza – misure che possano in qualche modo favorire le nascite. E’ stato lo stesso Giorgetti, illustrando il Def in audizione, ad anticipare l’intenzione dell’esecutivo a voler dare uno “choc” fiscale alle famiglie italiane con figli, differenziando profondamente il prelievo tra chi ha prole e chi non ne ha. Un conto più salato per i single, insomma, e un sistema di favore per i nuclei più numerosi. Le ipotesi sono molte e finora nessun esponente del gabinetto Meloni si è soffermato sui dettagli. Sui giornali si favoleggia di “tasse zero” o di bonus una tantum tra 2 mila e i 4 mila euro l’anno, oppure di un nuovo regime di detrazioni o di quozienti fiscali capaci di compensare i costi sociali e finanziari che i genitori si accollano nel momento in cui decidono di mettere al mondo dei bambini. Aiuti che si sommerebbero all’assegno unico universale, che ha appena compiuto l’anno di età e che ha consentito il pensionamento delle vecchie detrazioni per i figli a carico. Non è dato sapere, al momento, quale strada imboccherà la politica e se questa ansia di mostrarsi attenti al tema della natalità non si riveli uno dei tanti fuochi di paglia cui siamo stati abituati negli ultimi decenni. Una cosa è però certa: attualmente mantenere un figlio minorenne costa in media 740 euro al mese, circa un centinaio in più se si risiede in una regione del Nord Italia. Un calcolo effettuato dal Forum delle Associazioni familiari che dà l’idea della enormità della sfida se è vero che appena il 4% della popolazione in Italia denuncia un reddito lordo superiore ai 70.000 euro annui, quindi all’incirca 3 mila netti al mese.

di Alan Patarga

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