In questi giorni è scoppiato l’ennesimo caso di evasione fiscale su larga scala che vede coinvolta una grande multinazionale: la Apple. L’azienda, giustificata, a suo dire, dall’aver la sede legale all’estero, non ha pagato le tasse nel nostro paese per anni. La procura di Milano, verificato l’ammanco, ha proceduto. E così l’azienda americana ha dovuto pagare trecentodiciotto milioni di euro al fisco italiano. Eppure, nonostante abbia pagato e nonostante lo abbia fatto subito senza batter ciglio, non mi sento soddisfatto. Sarà perché la Apple ha evaso ben più di quanto lo stato italiano le ha fatto pagare? L’evasione fiscale, infatti, ammonterebbe a ben ottocentoottanta milioni di euro. Il che mi fa sorgere un paio di riflessioni, tanto per non smentire le voci che mi vorrebbero polemico e rompiscatole. Voci per altro abbastanza corrette.
Per prima cosa mi preme chiarire un fatto: non sono un difensore delle tasse e dei suoi esattori a ogni costo. Non sono uno di quei “grandi moralisti da tastiera” che vorrebbero terribili punizioni per l’artigiano che non fa fattura o per il barista che non stacca lo scontrino. Ho lavorato in proprio e le tasse assurdamente elevate del nostro Paese sono uno dei motivi per cui ho chiuso la partita iva e sono tornato a lavorare come dipendente. Un artigiano oggi deve pagare più del 40% di tasse sul reddito e, in più, un fisso per l’iscrizione agli artigiani che si aggira intorno ai settecento euro ogni tre mesi. Una cifra tutt’altro che indifferente in momenti di crisi. Se un artigiano con l’acqua alla gola evade qualche tassa o fa del lavoro in nero per campare, per non chiudere baracca e burattini, non posso che essere dalla sua parte e spolverare l’uso di gridare al “governo ladro” di mazziniana memoria. Su questo punto credo che chiunque sia dotato di buon senso non possa che convenire. Soprattutto in un paese come il nostro, dove gran parte delle tasse vanno a finanziare corruzione e privilegi di inutili parassiti, piuttosto che a finanziare i servizi. Se lo stato italiano usasse tutto ciò che incassa dalle tasse per i servizi e non sprecasse nemmeno un euro, vivremmo in un paradiso. Ma, ahimè, così non è.
Il caso Apple è però ben diverso. Non si tratta qui di un artigiano che fa il nero per mettere in tavola la proverbiale pagnotta. Si tratta di una grande multinazionale che cerca di evadere le tasse per riempirsi il più possibile le già traboccanti tasche. La differenza tra l’artigiano di cui si parlava e la Apple è la differenza tra la sopravvivenza e l’avidità. Che lo stato intervenga al fine di recuperare i soldi evasi è, dunque, in questo caso, del tutto lecito e, anzi, doveroso. Ed è qui che viene il bello: lo stato non lo fa. O almeno non del tutto.
Già, perché lo stato italiano è leone con gli agnelli e agnello con i leoni. Se infatti il piccolo imprenditore viene beccato a evadere, le sanzioni scattano senza pietà e l’evasore deve pagare con tanto di interessi. Altrimenti arrivano i pignoramenti. Sono tante le aziende che hanno dovuto dichiarare fallimento per cartelle esattoriali salatissime e nemmeno sempre esatte! In Italia infatti esiste un meccanismo perverso che permette allo stato di mandare cartelle esattoriali sulla base del semplice sospetto. Se la dichiarazione dei redditi si discosta troppo dai famigerati “studi di settore”, ecco animarsi la perfida macchina inquisitoria dell’italico fisco. E quando parte non fa prigionieri. Le cartelle devono essere pagate. Se poi tali soldi non sono dovuti e la dichiarazione dei redditi non era fasulla, allora l’imprenditore può fare ricorso e riavere, in caso di vittoria, i suoi soldi indietro. Peccato che per questo ci si debba impelagare nella selva selvaggia ed aspra e forte della burocrazia italiana. Perché un ricorso giunga alla fine ci vogliono almeno un paio di anni. E nel frattempo le aziende chiudono. Questo tipo di meccanismo, indegno perfino per la famigerata inquisizione spagnola, grava soprattutto su quelle aziende (piccole e medie) che la crisi ha colpito. Sono infatti le aziende in difficoltà a discostarsi dagli studi di settore e non certo quelle floride.
Tanta durezza, tale da far pensare a uno stato “duro e puro” che non si ferma davanti all’illegalità, finisce appena si ha a che fare con grandi imprese, multinazionali e simili. Chi infatti ha abbastanza soldi e potere da tener testa allo stato non ha problemi a evadere e a farsi i fattacci propri. Basti ricordare lo scandalo delle slot machines del 2010. Le aziende che gestivano l’affare delle macchinette nei bar (e non solo) furono beccate a evadere quasi novanta miliardi di euro. Alla fine furono condannate, dopo svariate trattative, a pagarne poco più di due. Ed ebbero anche la faccia tosta di protestare! E le loro proteste trovarono subito accoglienza presso il governo Letta che con un bel condono ridusse ulteriormente la multa.
Allo stesso modo la Apple dovrà pagare meno della metà di quanto ha evaso. In America, paese di origine della multinazionale, avrebbero dovuto pagare tutto con tanto di interessi. Perché negli USA le tasse sono senza dubbio inferiori alle nostre (anche i servizi, per dirla tutta), ma se si evade un solo dollaro non si può sperare in sconti, condoni e cose simili. Anche quando il governo a stelle e strisce è sceso a più miti consigli e ha deciso di far rientrare i capitali “neri” con uno scudo fiscale, ha comunque posto come condizione il pagamento del 65% del capitale in cambio del “perdono” delle illegalità commesse. Insomma, per gli USA è importante far capire che evadere le tasse non conviene.
Ma noi non siamo gli USA. Noi siamo più furbi e quindi appena una multinazionale evade le tasse noi ci chiniamo e le chiediamo se, per favore, potrebbe pagare una parte (non troppo, mi raccomando!) delle tasse che ha evaso. E quando abbiamo fatto lo scudo fiscale abbiamo pensato bene di far pagare solo il 5% del capitale, cioè circa un decimo di quello che avrebbero pagato se non avessero evaso le tasse. E il popolo italiano, quello degli onesti che le tasse le pagano e quello dei piccoli imprenditori dissanguati dai bulli di stato, in tutto ciò fa la parte del “cornuto e mazziato”. Perché non solo in questo modo lo stato ha perso una gran quantità di soldi, ma ha anche fatto passare un messaggio chiaro: evadere conviene. Perché mai un grande imprenditore dovrebbe pagare le tasse in Italia? Meglio evadere. Mal che vada, se sarà beccato, dovrà pagare una piccola parte del dovuto. Alla faccia della “lotta all’evasione”! E chi ne fa le spese? Il popolo italiano, come sempre. Perché mentre da una parte lo stato tratta con i grandi evasori permettendo loro di non pagare, dall’altro taglia i servizi, chiede sacrifici alla gente e fa fallire migliaia di onesti imprenditori che andrebbero invece aiutati. Quante persone, famiglie, imprese in difficoltà si sarebbero potute aiutare con quel mezzo miliardo di euro che lo stato ha regalato ad Apple?
In conclusione, credo che il problema delle tasse in Italia sia, per dirla col Machiavelli, un “dilemma arcicornuto”. E la soluzione, al di là di tutte le ideologie e le visioni, è prima di tutto etica. È necessario cominciare ad affrontare il problema etico che riguarda la spesa pubblica e le tasse. È ora di tagliare sprechi e privilegi invece che servizi. È ora che lo stato si comporti in modo onesto e morale nei confronti delle persone smettendo di essere prepotente e ladro con i deboli e leccaculo (mi si scusi il francesismo) e sottomesso con i forti. Quando gli sprechi saranno eliminati, i privilegi rimossi, e i servizi funzioneranno, allora lo stato potrà pretendere il pagamento delle tasse (e ne servirebbero molte meno, tra l’altro). E quando si comporterà in modo equo potrà pretendere il rispetto della legge da parte di tutti. Fino ad allora, per quei piccoli imprenditori che costituiscono la spina dorsale della nostra economia e che fanno vivere il nostro paese con il loro lavoro e la loro fatica, evadere non sarà eticamente sbagliato, ma sarà, anzi, sacrosanta disobbedienza civile.
Enrico Proserpio