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venerdì, 19 Luglio, 2024

Less is more: diciamo addio all'overbranding

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di Stefano Sannino

L’overbranding non è certo stato inventato oggi: sono anni che questo modo particolare di inserire il logo del proprio brand più volte all’interno di un prodotto, caratterizza le linee di diversi stilisti. Per comprendere questo particolare fenomeno stilistico, è necessario svincolarsi dalla mentalità di acquirenti di oggi e tornare alla mentalità che caratterizzava gli acquirenti dai primi anni 2000, fino a qualche mese fa, prima dell’emergenza Covid.

Negli ultimi 20 anni, infatti, ciò che gli acquirenti vedevano in un prodotto di lusso era una scala per raggiungere una posizione sociale più accettabile, un maggiore riconoscimento negli altri ed anche, più soddisfazione per se stessi. E quale modo migliore avevano i brand di moda se non costellare i propri prodotti con dei pattern basati proprio su loghi riconoscibili della maison?

Ciò che Vuitton faceva (e fa) con la stampa monogram è stato importato da altri stilisti nei propri  brand proprio per cercare di soddisfare quel desiderio di approvazione sociale che caratterizzava la loro clientela.

Gucci è l’esempio lampante di  brand che ha saputo risollevarsi proprio grazie all’overbranding: casa di moda celebre ma con un fatturato non all’altezza dei competitors, Gucci ha inserito alla direzione artistica il visionario Alessandro Michele, il quale tra una sfilata scandalosa e l’altra è riuscito ad utilizzare l’overbranding per andare incontro alle esigenze dei clienti della maison. Da quel momento le creazioni di Gucci sono costellate dalla “doppia G”, segno riconoscibile da chiunque, che battezza colui che possiede un’oggetto con questa stampa come persona benestante e socialmente riconosciuta,

L’emergenza Covid però, ha stravolto tutto questo processo, ed ora – secondo alcune ricerche – come per altro abbiamo già visto, gli acquirenti sono molto più critici nei confronti di questo fenomeno, il quale anziché essere da incoraggiamento all’acquisto, viene considerato un detrattore. Il cliente, avendo vissuto un’esperienza drammatica, ha capito il valore delle cose realmente importanti e non è più disposto a spendere una cifra eccessiva per un prodotto che non ha delle caratteristiche precise: l’assenza di overbranding è una di queste.

Ciò significa che non vedremo più la V di Versace o la doppia G di Gucci sui prodotti?

No, semplicemente significa che i brand dovranno adattarsi a questa nuova tendenza, lasciando il proprio logo solo su cinture ed accessori. A meno che, ovviamente, l’overbranding non esista da decenni e sia la fortuna della maison: come nel caso del già citato monogram di Vuitton. In questo caso specifico sarebbe controproducente rimuovere una stampa così fortunata: ma per tutti gli altri brand, l’overbranding è morto.

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