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venerdì, 11 Ottobre, 2024

LA STORIA DI GIADA GIUNTI

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di Avv. Michela Nacca

A Giada Giunti è stato tolto il figlio il 15 dicembre 2016 – viene prelevato “come fosse un criminale”, 8 poliziotti presenti racconta Giada ed il bambino stesso confermerà in un tema a scuola – per essere portato in casa famiglia e poi dal luglio 2019 ricollocato e affidato al padre, l’uomo che la donna aveva denunciato per violenza domestica e che anche la CTU riconoscerebbe avere una personalità fortemente problematica. La denuncia viene tuttavia archiviata e si trasforma in accusa di calunnia contro Giada, sebbene il contenuto della denuncia  a quanto pare sarebbe stato  confermato dal bambino stesso, anche durante gli ascolti videoregistrati dal CTU, ma   ritenuto evidentemente testimone non sufficiente o non credibile: forse proprio  alla luce della diagnosi di “simbiosi materna”…una diagnosi che tale non è, perché’ non esiste una “sindrome” o un “Disturbo”  di “simbiosi” invalidante la capacità critica, che dunque  non dovrebbe poter  elidere automaticamente la validità e credibilità di una testimonianza diretta!

Il figlio di Giada ha continuato a scrivere lettere pur di essere ascoltato: alla madre, al Papa, ad ogni autorità. Ha scritto temi a scuola, urlando la propria sofferenza e chiedendo di poter vivere con la madre, con la quale evidentemente si sentiva amato, curato e protetto. Ma invano. “La poliziotta mi ha cominciato a dire che mi dovevano portare via senza che mia madre lo sapesse, mi sono messo a piangere perché non volevo andare in casa famiglia”. Egli ha così ricordato il momento dell’ablazione. La seconda per la verità. Perché già in precedenza era stato fatto un altro tentativo, rimasto impedito dalla reazione del piccolo e dall’assenza di forze dell’ordine.

Il tutore del bambino nominato dal Tribunale, in conseguenza di questo primo tentativo fallito, avrebbe scritto al Giudice chiedendo l’intervento manu militari e avrebbe cosi descritto i momenti terribili già vissuti da J. a quel primo tentativo di prelievo: “era terrorizzato rifiutava di allontanarsi anche solo dal suo letto. Piangeva in modo convulso, spaventato e tremante, si copriva sotto le coperte del letto non volendosi allontanare in alcun modo dalla madre. Non si sarebbe allontanato spontaneamente ma solo se sollevato di peso e con l’utilizzo della forza. alla luce di quanto esposto si chiede a codesto tm di emettere un nuovo provvedimento, ad integrazione del presente, che definisca in maniera dirimente la possibilità che si utilizza la forza pubblica per l’esecuzione dello stesso e farlo dimettere dall’ospedale per essere collocato in casa famiglia” (la trascrizione ci viene riportata cosi da giada).

Una descrizione che, se confermata, avrebbe forse dovuto maggiormente far interrogare tutore e Giudici sulla opportunità di staccare questo bambino dalla mamma. Avrebbe dovuto far interrogare sulla opportunità, la serietà medico-scientifica dei metodi e percorsi usati (ablazione e collocazione nelle case famiglia dei bambini), sul trauma che inevitabilmente avrebbero scatenato, con conseguenti intuibili danni psicologici per il bambino.

Dovremmo interrogarci tutti e chiederci se questa non è TORTURA inflitta istituzionalmente ad un bambino! Ed invece queste descrizioni   hanno solo indotto il tribunale a ritenere di dover procedere nuovamente all’ablazione. Stavolta addirittura con le forze dell’ordine.

La decisione giudiziale di allontanare J.  da Giada sarebbe stata assunta sulla base di due perizie: una del 2013 e l’altra successiva, in cui la mamma verrebbe descritta come “madre simbiotica”, dunque secondo le CTU – evidentemente indottrinate alla pseudoteoria PAS/PA – ella sarebbe inadeguata per crescere suo figlio, che quando viene prelevato ha 10 anni e chiede fermamente di poter rimanere a vivere con lei.  Nella storia una grave controversia: tra Giada che rivendica la patologia di Celiachia per il figlio ed il padre che l’avrebbe negata. Giada tuttavia ci mostra un libretto AUSL che la confermerebbe in pieno!

L’occasione di allontanare il bambino dalla mamma giunge quando il padre la denuncerà per abbandono di minore nel centro sportivo dove il bambino si allenava al tennis. Giada sostiene che numerosi testimoni confermano che ella non lo avesse affatto abbandonato. La denuncia verrà a quanto pare archiviata, ma intanto in quel momento ha permesso che scattasse l’ablazione.

Da quel momento Giada non ha potuto vedere per lungo tempo né soprattutto più avere con sé il bambino, che ha continuato anche in seguito a chiedere di poter vivere con lei. Lettere e videoregistrazioni, in possesso di Giada e depositate in tribunale a corroborare le sue istanze, confermano ciò. Tutte rimaste inascoltate.

Numerosissimi i ricorsi e le istanze presentate in questi anni da Giada, tutte rese vane nonostante ulteriori relazioni psichiatrico-psicologiche, tutte rigettate e rimaste inascoltate dalle autorità giudiziarie. Cosi da imporre anche a questa madre   l’esigenza di reagire denunciando pubblicamente e tramite i media ciò che lei e suo figlio stanno vivendo nei tribunali. Del resto dinanzi un figlio che piange e ti implora di riprenderlo con te, evidentemente non stando bene lì dove si trova ma rimanendo del tutto ignorato dai tribunali, come puoi reagire se non diventando la sua voce ed il suo megafono? Abbiamo visto le foto di questo bambino, prima e dopo l’ablazione: vi abbiamo riconosciuto il gonfiore di un bambino che, oltre che essere stato costretto a smettere di praticare lo sport agonistico che amava, non stava e non sta affatto bene. Tant’è che continua a chiedere di poter tornare dalla madre. Perché è diventato per i Tribunali così difficile capire il punto di vista dei bambini e dar loro ascolto? Perché è diventato così difficile capire che, per i bambini, i ruoli e le relazioni paterne e materne non sono uguali e intercambiabili?

Eppure l’art. 13 della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo di NY e l’art. 6 della Convenzione europea di Strasburgo parlano chiaro: i minori vanno ascoltati!

Gli artt. 315 bis, 336 bis e 337 octies del codice civile italiano parlano chiaro: i bambini vanno ascoltati dai tribunali. Oggi Giada chiede solo che il figlio, che prima dell’accanimento giudiziario era con lei sereno e costituiva una promessa del tennis, venga ascoltato affinchè possa esprimere la propria volontà e sia rispettato nei suoi desideri ed esigenze.

Giada, come anche Laura Massaro, Ginevra Pantasilea Amerighi e Luana Valle, da anni denuncia un sistema che anziché’ supportare la relazione genitoriale e proteggere il minore, riconoscendone la dignità che merita e dunque in primis rispettandone il diritto di ascolto e la volontà, si trasforma in violenza istituzionale accanitasi contro di lei in maniera abnorme e disumana. Anche per lei i media sono diventati l’ultimo strumento per poter chiedere giustizia e umanità per sè ed il proprio figlio.

 

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