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giovedì, 18 Luglio, 2024

LA SCARCERAZIONE DI BRUSCA RIACCENDE LA DISCUSSIONE SULLA RIFORMA DELL’ERGASTOLO OSTATIVO E DEI BENEFICI PENITENZIARI

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di Alessandro Giugni

Dopo 25 anni di carcere, il 31 maggio 2021 Giovanni Brusca è stato scarcerato e sarà sottoposto a 4 anni di libertà vigilata. Dopo l’arresto, avvenuto il 20 maggio 1996, il boss di San Giuseppe Jato era stato condannato a 30 anni di carcere, ma ha potuto godere della liberazione anticipata sancita dall’art.54 dell’Ordinamento penitenziario, un istituto deflativo in virtù del quale si riconosce una riduzione di pena pari a 45 giorni per ogni semestre di pena scontata a coloro i quali affrontano la detenzione in maniera ineccepibile.

La liberazione di u verru (il porco) o lo scannacristiani, questi i soprannomi attribuiti all’autore materiale della Strage di Capaci, dello strangolamento di Antonella Bonomo, 23enne che al tempo della morte aspettava un figlio, dello scioglimento nell’acido del 15enne Giuseppe Di Matteo e di più di 100 altri omicidi, ha immediatamente suscitato scalpore. Può un uomo che si è macchiato di tali crimini essere riammesso in società e tornare in libertà?

Tale vicenda ha riacceso i riflettori sull’ergastolo ostativo su una delle più controverse sentenze della Corte Costituzionale, la n.253/2019. Con essa è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art.4 bis, comma 1, ord. pen. per quanto attiene l’impossibilità per i condannati all’ergastolo ostativo per i reati di cui all’art.416 bis c.p. di accedere al beneficio penitenziario dei permessi premio in assenza di collaborazione con la giustizia di cui all’art.58 ter ord. pen.

L’art.4 bis ord. pen., introdotto con il D.L.152/1991, detta la disciplina di accesso ai benefici penitenziari e originariamente prevedeva la divisione dei detenuti in due fasce: nella prima fascia rientravano tutti i condannati per delitti particolarmente gravi quali quelli di associazione di stampo mafioso, terrorismo ed eversione; nella seconda fascia erano ricompresi gli autori di delitti di omicidio, rapina e altri reati che, per quanto gravi, facevano presumere una pericolosità sociale dei condannati inferiore rispetto a quelli di prima fascia. Tale misura venne inasprita nel 1992 a seguito dell’omicidio di Falcone: con il D.L.306/1992 fu introdotto un particolare trattamento penitenziario definito ergastolo ostativo, il quale venne riservato a chi aveva commesso uno o più delitti di prima fascia e in virtù del quale si escluse la possibilità per tali soggetti di accedere alla liberazione condizionale, con l’unica eccezione del caso in cui essi avessero collaborato con la giustizia.

Con la predetta sentenza n.253/2019, la Corte Costituzionale ha ritenuto costituzionalmente inammissibile negare al detenuto l’accesso ai benefici penitenziari a causa della mancata collaborazione con la giustizia. Ciò in quanto il rifiuto di collaborare rientra tra le libere scelte del detenuto stesso e non può essere avallata l’equazione “rifiuto di collaborare = pericolosità sociale”, equazione questa che contrasterebbe con il principio di reinserimento del reo.

Ora, a fronte della recente scarcerazione di un uomo come Brusca, il quale ha potuto godere di tutti i benefici penitenziari a fronte della sua collaborazione negli anni con la giustizia, emerge una domanda: persone come queste possono davvero reinserirsi in quella società che loro stesse hanno cercato di distruggere con le loro azioni?

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