di Gabriele Rizza
Il senatore Antonio Caridi è stato definitivamente assolto dopo un lungo processo durato cinque anni e dopo 20 mesi trascorsi in carcere. Tecnicamente è un ex senatore, ma per la sua tristissima e ingiusta vicenda lo chiamiamo ancora senatore. È il minimo che la stampa, la politica, la giustizia può fare, oltre a chiedere scusa a lui e alla sua famiglia (ma qui c’è da dubitare del senso di onore e dignità delle nostre Istituzioni, e le scuse non arriveranno).
Antoni Caridi è stato nel 2016 al centro di un’indagine della procura di Reggio Calabria, accusato di essere uno dei vertici locali della ‘ndrangheta, e per questo la magistratura chiese al Senato l’autorizzazione per arrestare il senatore eletto con l’allora PDL. Tutto il Senato votò a favore, eccetto la rinata Forza Italia, dopo un solo giorno di studio delle migliaia di pagine del caso, preso dall’onda giustizialista che ha segnato la cultura politica italiana dagli anni ’90 a questa parte e dalla smania di far apparire il Senato della Repubblica come un luogo giusto, di cui gli italiani si possono fidare. A distanza di cinque anni, possiamo dire che sono i diritti umani a non potersi fidare del Senato, dell’abuso della custodia cautelare – che anziché essere applicata quando la reiterazione del reato è possibile o le indagini rischiano di essere ostacolate, diventa uno stratagemma per ottenere confessioni e collaborazione, con il rischio di però di prendere tanti granchi e rovinare la vita di persone innocenti – e di certa stampa che sbatte in prima pagina un avviso di garanzia e mette in un trafiletto un’assoluzione.
Il problema non è che Antonio Caridi sia stato indagato, sia chiaro: la magistratura deve fare il suo lavoro con indipendenza, ma da troppi anni assistiamo ad arresti che poi si concludono con assoluzioni perché “il fatto non sussiste. Il problema è che tutto il sistema culturale italiano che trasforma un avviso di garanzia in colpevolezza, che trae giovamento politico ed elettorale sulla pelle di cittadini che vedono rovinata la loro vita per sempre. Il Tribunale assolve, la condanna della stampa è per sempre.
La cultura giustizialista iniziata con Tangentopoli, si è poi spostata su binari ideologici che hanno fatto perdere al Paese – e a parte della magistratura – il senso della realtà e della tutela della dignità della persona. La sinistra e i grillini hanno fatto del giustizialismo un cavallo di battaglia nella lotta a Silvio Berlusconi, facendo passare indagini come sentenze di condanna. I risultati sono stati quelli di aver fatto passare venti mesi un innocente in carcere. Il vento però è cambiato, e la riforma Cartabia va nella direzione di processi equi e giusti. Perché gettare reti su gente innocente pur di prendere un criminale e poi vantarsi in TV, non è giustizia, è onnipotenza. E l’onnipotenza è il contrario della giustizia.