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venerdì, 11 Ottobre, 2024

IL SENATO COME LA CAMERA, A 18 ANNI SI POTRÀ VOTARE. L’opportunismo e l’ipocrita idealismo di una legge giusta

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di Gabriele Rizza

Con 178 voti favorevoli, 15 contrari e 30 astenuti, il Senato ha dato via libera alla riforma costituzionale che permetterà ai diciottenni di votare non solo per il rinnovo della Camera dei Deputati ma anche per il Senato, abolendo così una tradizione storica. Infatti, già dalle prossime elezioni politiche, circa 4 milioni di giovani elettori potranno barrare il simbolo di una lista anche per il Senato. Per la promulgazione dovranno passare tre mesi e – poiché non è stata raggiunta la maggioranza dei due terzi – si potrà richiedere un referendum confermativo.

I risvolti di questa modifica alla Costituzioni sono sia di carattere pratico – politico che culturale. Da una parte, può essere considerata a ragione un superamento di un meccanismo considerato obsoleto nella società di oggi, anche se resta ancora il limite di età di 40 anni per essere eletti al Senato. La direzione culturale resta però quella di una sempre più parificazione ideale tra Camera e Senato, allora si dovrà affrontare il tema delle funzioni delle due Camera, perché a parità sia ideale che di funzioni restano due inutili doppioni. Una riforma seria e ragionata del Senato non può essere posticipata.

C’è poi dietro il calcolo politico: a spingere per questa riforma è stato soprattutto il PD che, stando all’ultimo ventennio di elezioni, ha sempre fatto breccia tra i giovanissimi, come i Cinque Stelle. Non è un caso che il segretario Enrico Letta vorrebbe andare oltre abbassando l’età per il diritto al voto a sedici anni, per poi complicare i piani di vittoria del centrodestra. Chiaro, è solo un sospetto. I fatti però portano a pensare all’opportunismo politico, perché alzi un solo dito di una mano chi considera realmente i giovani al centro di un progetto politico: la scelta di ministri di serie D come Valeria Fedeli e Lucia Azzolina alla guida dell’istruzione basti come esempio.

Infine, c’è la réclame ipocrita dell’ultimo decennio: il coinvolgimento dei giovani. Da una parte si invoca con delle leggi la loro partecipazione – e se si ricorre alle leggi per proteggere vuol dire che negli anni si è creato un vuoto culturale e una perdita di attrazione verso la politica che non si può risolvere a suon di leggi – dall’altra però si limita il loro accesso alle cariche politiche. Si concede ai diciottenni di votare al senato quando il senato vedrà una forte riduzione dei seggi, che saranno occupati dalla nomenclatura di partito, i più inseriti e navigati. La democrazia sta anche nella possibilità che il più debole soppianti il più forte, cosa non più permessa dalla riforma passata a fine 2020. Ai giovani stiamo dando la matita ma gli abbiamo già tolto la spada (opportunità di buona formazione) e l’arena (le sedi della rappresentanza).

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