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sabato, 20 Aprile, 2024

ANTONIO SYXTY: “IL TEATRO E’ UNA FORMA DI DISOBBEDIENZA ALLA VITA”

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Antonio Syxty, nato a Buenos Aires, vive e lavora da anni in Italia, principalmente a Milano. Negli anni ‘80 è stato un esponente della cosiddetta post-avanguardia teatrale. Ha iniziato come artista e poeta visivo, ha praticato la performance d’arte e poi quella teatrale, ed è passato al teatro per studiare la falsificazione dell’identità. È stato autore e regista teatrale, cinematografico, televisivo e radiofonico. Da anni è coordinatore artistico di MTM Manifatture Teatrali Milanesi. Conduce un programma radiofonico su RadioBlabla, Club Teatro, e continua a realizzare opere d’arte con cui partecipa anche ad alcune mostre.
Dal 2017 progetta e realizza performance che rientrano nella stagione teatrale di MTM, e cura la regia degli elaborati finali del IV anno corso attori di Grock-scuola di teatro. Da qualche anno ha iniziato anche l’attività di online streamer e digital creator. 

Le disobbedienti
e le prove de “Il gabbiano di Cechov”

In scena al Teatro Litta (MTM) dall’8 al 16 ottobre

Elaborato finale dei neodiplomati MTM Scuola Grock anno 2021/2022 – drammaturgia e regia a cura di Antonio Syxty e Susanna Baccari 

 Cecilia e Cecilia, Elisa, Giorgia, Giulia, Ludovica, Maddalena, Margherita, Matilda, Nicola, Pietro, Rachele sono una compagnia di teatro; si definiscono tali dopo aver vissuto insieme per 4 anni studiando il teatro, praticandolo, vivendolo uniti con i propri insegnanti. Si sentono insieme uniti dal teatro, ma anche dalla vita che il teatro evoca. E alla fine di questa strada si propongono di “disobbedire” alla vita e lo fanno proprio attraverso il teatro. C’è anche un’altra disobbedienza, ovvero fare le prove de Il gabbiano di Cechov per parlare di arte e vita con attraverso Nina, Kostja, Arkadina, Dorn e tutti i personaggi coinvolti dalla letteratura e dalla vita personale dello stesso Anton Cechov. Queste “prove” sono a loro volta anche le lettere di Cechov, gli appunti e le “disobbedienze” di Stanislavskij e Nemirovic, le considerazioni di Peter Stein, André Gregory, Luca Ronconi, Marco Bellocchio, ma anche i romanzi di Lidia Avilova e Ivan Bunin.

Partiamo da quello che è il sottotitolo dello spettacolo di cui ha curato la regia insieme a Susanna Baccari: “e le prove de “il Gabbiano di Cechov”, lei che rapporto ha con Cechov? 

<<Io, tra le opere di Cechov, ho già messo in scena Il giardino dei ciliegi e Il gabbiano…probabilmente metterò in scena anche altro, ancora non lo so…
E’ un autore davvero molto vasto ed è alla base della drammaturgia contemporanea. Possiamo dire che abbia anticipato sia il ‘900 che il 2000. Cechov è presente anche in una serie come The leftovers, ma anche in molta della narrativa filmica americana. E’ un drammaturgo sempre attuale e onnipresente.>>

Lei per primo è stato studente di Accademia ed ora ha a che fare con studenti che hanno portato a termine un percorso molto simile al suo; qual è quindi il suo rapporto con gli studenti prossimi al diploma d’attore? E cambia il suo modo di essere regista con un allievo attore rispetto che con un attore fatto e finito?

<<Io parlerò sempre con grande schiettezza: ho fatto la scuola del Piccolo Teatro, sarebbe dovuta durare tre anni, ma alla fine del secondo anno mi hanno invitato ad andarmene. Con gli allievi del IV anno della scuola Grock cerco di avere un rapporto onesto. Io non chiedo a loro qualcosa di diverso rispetto a quello che chiederei ad un attore a tutti gli effetti. Questo forse è un problema, perché effettivamente loro non sono ancora attori. Mi interfaccio a loro in modo molto diretto, dirigendoli, invece Susanna Baccari, che lavora al mio fianco, si occupa più dell’accompagnamento necessario ai ragazzi per ottenere il risultato che io richiedo. E’ un po’ difficile per me, che non sono un formatore, comprendere il processo utile per un attore per arrivare ad un determinato risultato. Io da regista pretendo già il risultato. In effetti, quando poi si lavora con un regista, a quest’ultimo non interessano i patemi d’animo da cui è colto l’attore. Spetta a chi è scena il compito di sbrogliare la propria matassa in autonomia.>>

Ci ha raccontato di essere stato invitato ad abbandonare l’Accademia del Piccolo Teatro. A tal proposito: il titolo dello spettacolo è Le disobbedienti; lei è / è stato un artista disobbediente?

<<Sì, lo sono e lo sono sempre stato. Ci tengo però a spiegare che, in questo caso, ho deciso di dare questo titolo perché sulla scena c’è una compagnia composta da dieci donne e solamente due uomini. A mio parere il genere femminile ha più possibilità di essere eversivo rispetto al genere maschile, questo va chiaramente a favore delle donne. La disobbedienza si riferisce anche al fatto che il Teatro è, secondo me, una forma di disobbedienza alla vita, perché si immagina una vita altra, o comunque realizza una critica alla vita reale. Genera comunque una forma di disobbedienza, tanto che gli attori in passato non erano proprio ben accettati dalla società, perché non si sapeva che direzione avrebbero preso. Quindi, Le disobbedienti sono i ragazzi che stanno per iniziare una carriera nel Teatro. Attraverso il Teatro si disobbedisce, ma in questo caso, gli attori disobbediscono anche nel frangente delle prove de Il Gabbiano. Se lo spettatore viene per vedere Il Gabbiano, deve essere consapevole che non vedrà Il Gabbiano. Se viene per vedere una compagnia che fa le prove per mettere in scena Il Gabbiano, non vedrà nemmeno quello. Quindi che cosa vede? Vede quella che è la sindrome del giovane artista che è la stessa di Kostja, che vorrebbe avere successo in ambito letterario, la stessa anche di Nina che vorrebbe aver successo in Teatro. E poi di mezzo c’è anche l’amore, come nella vita. Questo è Cechov, non si riesce a capire dove sia la vita e dove sia il Teatro.>>

Nel corso di questa chiacchierata abbiamo citato più volte Susanna Baccari, che insieme a lei cura la regia degli elaborati finali del IV anno corso attori a Grock, ma anche delle sue performances. Come riuscite a trovare l’equilibrio che ormai danni vi permette di collaborare? 

<<Susanna si occupa di tutta la parte più fisica legata al Teatro. C’è un rapporto tra il corpo, lo spazio e la parola che viene preso in considerazione e messo in gioco molto di più rispetto a ciò che accadrebbe se io lavorassi da solo. Quindi grazie a lei, e con lei, si dà forma a questa creazione artistica completa. C’è una reciproca stima negli ambiti in cui noi lavoriamo. Devo dire che Susanna riesce proprio ad entrare in una drammaturgia tracciata attraverso i movimenti del corpo.>>

Giusto per richiamare la schiettezza di cui parlava prima: questo non è un vero e proprio spettacolo, ma, come abbiamo già precisato, “un elaborato finale” ed in scena vi sono gli alunni diplomati a Grock. La domanda è quindi la seguente: perché tutti coloro che non sono famigliari, che non sono amici, che non sono legati in qualche modo a questi giovani attori, dovrebbero venire a Teatro a vedere Le disobbedienti…e le prove de “Il Gabbiano” di Cechov?

<<Intanto le persone dovrebbero mettersi, una volta ogni tanto, nella condizione di andare a teatro.  Come ogni tanto si potrebbe entrare in chiesa, ma anche visitare un museo… insomma mettere il naso in teatro, anche solo per curiosità, non farebbe male a nessuno.
In ogni caso, perché dovrebbero venire? Perché si parla di amore, si parla di vita e si parla di aspirazioni, le aspirazioni che si hanno da giovani, quando ancora si pensa che il mondo deve in qualche modo riconoscerti per quello che sei e quello che fai. Questi sono i temi trattati da Cechov, sono intrisi di lavoro artistico e secondo me lo spettatore dovrebbe venire, più che capire, per assistere allo struggimento di chi nella vita vuole raccontare/raccontarsi attraverso l’arte. >>

di Susanna Russo

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