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mercoledì, 17 Luglio, 2024

Riflessione sul giornalismo in Italia: qualità dell’informazione o barzelletta mondiale?

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di Alessandro Giugni

Nel corso degli ultimi due anni abbiamo vissuto bombardati costantemente da notizie che, giorno dopo giorno, si sono fatte sempre più allarmanti relativamente alla pandemia. Uno dei fattori sui quali, però, raramente (o, forse, sarebbe meglio dire mai) ci si è fermati a riflettere risulta essere la qualità dei servizi giornalistici offerti al lettore italiano. Se, da un lato, abbiamo assistito a sempre più incalzanti proclama dell’affidabilità delle fonti di informazione (indimenticabile lo slogan «Fidati dei professionisti dell’informazione» che ci ha accompagnato per innumerevoli mesi), dall’altro lato, con crescente e preoccupante frequenza, hanno iniziato a emergere dati e prove concrete circa l’insabbiamento di documenti dei quali il nostro apparentemente irreprensibile governo era a conoscenza (come da ultimo confermato da un servizio mandato in onda da Report nella serata di lunedì 8 novembre 2021, servizio questo al quale nessuno dei predetti “professionisti dell’informazione”, a differenza di quanto sarebbe lecito attendersi, ha dato spazio o rilevanza nella mattinata odierna).
Vogliamo, però, provare a compiere un atto di fede nei confronti dei mass media italiani e, per questa ragione, decidiamo di aprire l’applicazione di uno dei principali quotidiani del nostro Paese, il Corriere della Sera.
Davanti ai nostri occhi si staglia un articolo di Luigi Ippolito, il corrispondente da Londra del CorSera, dal titolo tutt’altro che incoraggiante: “Covid, il «modello britannico» sul banco degli imputati: 30 mila casi al giorno ma del virus non si parla” (clicca qui per leggerlo). La lettura di siffatto titolo induce il lettore a ricorrere al compimento di gesti apotropaici d’ogni sorta al fine di scongiurare l’ipotesi che il lungimirante Governo dei Migliori possa un giorno assumere una linea politica tanto sconsiderata quanto quella seguita dall’immorale governo britannico.
Il lettore più attento, però, non può non farsi una domanda: chi ha messo sotto accusa il “modello britannico”? I tabloid locali? Un’inchiesta internazionale? Sarà stata l’OMS? Sarà stata una potenza straniera? Forse la sempre trasparente Cina? Il sempre presente Presidente USA Joe Biden?
Niente di tutto questo. L’accusa arriva da un’intervista rilasciata a Repubblica da Walter Ricciardi, il consulente del nostro vigilissimo Ministro della Salute, Roberto Speranza.
A chiunque, a questo punto, scoppierebbe una grassa risata, se non fosse per la drammaticità della totale assenza di serietà da parte di uno dei più noti media nostrani. Dalla lettura del titolo tutto si potrebbe pensare fuorché all’effettivo contenuto dell’articolo in questione. Di cosa si parla effettivamente? A essere messo sotto accusa è, a tutti gli effetti, il modus agendi della stampa britannica tutta in quanto i tabloid inglesi si sono macchiati della gravissima colpa di non dare pressoché più alcuna rilevanza all’argomento Covid. Come si sono permessi di togliere dalla conversazione pubblica l’argomento che da due anni permette ai nostri giornali, che prima della pandemia erano in pesante crisi di identità e, soprattutto, di introiti, di acchiappare visualizzazioni, like e commenti con una narrazione che definire pessimistica sarebbe un eufemismo?
«In Gran Bretagna hanno un approccio filosoficamente diverso […] i britannici hanno accettato che il Covid è ormai una malattia «endemica» con la quale bisogna convivere». Sciagurati e sventurati, come possono anche solo pensare che si possa fare giornalismo serio e affidabile senza bombardare costantemente i cittadini di informazioni terroristiche, mai chiare, spesso e volentieri contraddette dalla news delle ore successive? Con quale tracotante supponenza si può anche solo pensare di riempire i salotti delle trasmissioni televisive senza invitare il virologo-star di turn, il quale, di programma in programma, va dicendo tutto e il contrario di tutto?
Forse gli inglesi sanno qualcosa che noi non sappiamo? Ebbene sì, come ci conferma la chiusura dell’articolo di Ippolito: «D’altra parte, non è di gran lunga la prima causa di morte: ben avanti vengono i tumori, gli ictus, gli infarti, le altre malattie respiratorie». Per la miseria, diciamo noi, auguriamoci che nessuno inizi a guardare anche al di fuori dei nostrani confini o per i quotidiani italiani saranno guai seri.

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