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domenica, 28 Aprile, 2024

Lo spirito della politica estera nella Prima Repubblica

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Il 6 luglio scorso si è spento a Roma Arnaldo Forlani, ex Presidente del Consiglio e Segretario nazionale della Democrazia Cristiana dal 1989 al 1992. Tra i leader politici più influenti nella Prima Repubblica, Forlani è riuscito a coniugare con mitezza ma, allo stesso tempo, determinazione lo spirito di una politica nobile fondata sul rispetto dell’avversario e sulla ricerca di soluzioni tese a rafforzare la democrazia e diffondere elementi di progresso e civiltà. Tutto l’opposto dell’imbarbarimento a cui si assiste da vent’anni.

La tanto vituperata Prima Repubblica è stata, nel bene e nel male, una storia gloriosa, interrotta dalla giustapposizione di sconvolgimenti internazionali a pulsioni giustizialiste. La caduta del Muro di Berlino nel 1989, l’inchiesta di Mani Pulite nel 1992 e lo sfaldamento del “pentapartito” hanno comportato un cambio radicale non solo nella politica interna ed economica, ma, soprattutto, nell’atteggiamento di politica estera.

L’Italia, paese con una posizione centrale nel Mediterraneo, crocevia di popoli e culture, dal 1946 al 1992 ha fondato la propria azione esterna conformandosi al multilateralismo e ai principi di difesa collettiva sanciti dall’Alleanza Atlantica. Un aggancio netto agli Stati Uniti d’America che, tuttavia, non dimenticava anche gli altri partner internazionali con i quali, per la difesa dell’interesse nazionale, era doveroso stabilire un canale di comunicazione. Insomma, l’Italia come ponte e interlocutore per gli americani verso il Medio Oriente o l’Est Europeo. Giovanni Paolo II, promotore della Ostpolitik vaticana; Giulio Andreotti, erede del pragmatismo degasperiano; e lo stesso Forlani, Ministro degli Esteri dal 1976 al 1979, sono stati esempi emblematici di uomini di fede e politici i quali, pur avversando aspramente ogni forma di regime totalitario, ritenevano necessario per la difesa dell’interesse nazionale stipulare strategicamente alleanze al di fuori della stella polare dell’atlantismo.

Di qui la riflessione: nella stagione della Seconda Repubblica i politici, italiani e anche europei, sono stati in grado di coniugare una politica estera strategica e non meramente tattica? La recente guerra in Ucraina sembra smentire il vecchio corso della politica estera. Difatti, nell’attuale dibattito politico e culturale, concetti quali solidarietà europea, aggancio all’Occidente (pur con una posizione di assoluta dignità nei riguardi degli USA), pace in Medio Oriente e nel Mediterraneo, sembrano concetti astrusi.

Animati da inconsistenza e incertezza i leader europei non riescono a comprendere che per promuovere un vero rinascimento europeo fondato sui valori di libertà è necessario riscoprire la politica del dialogo in vista della pace, operando un bilanciamento nei confronti dei Paesi potenzialmente più pericolosi nel lungo periodo.

È necessario che l’Europa prenda una posizione di politica estera che si ispiri allo spirito dei suoi padri costituenti i quali, usciti dal secondo conflitto mondiale, hanno scelto la strada della libertà e del dialogo per garantire prosperità economica e sociale. La morte di Forlani ci rammenta tutto ciò.

di Marco Rosichini

Fonte ph: Ansa

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