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giovedì, 28 Marzo, 2024

La razza: un abominio tutto umano

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di Stefano Sannino

Dai primi del novecento, un concetto ben specifico ha regnato protagonista nel dibattito politico delle Nazioni occidentali: la razza. Non che prima non esistesse tale concetto applicato alla specie umana, ma piuttosto non veniva politicizzato come viene politicizzato oggi. L’esistenza delle <> in natura è evidente ed è stata dimostrata dalla biologia, dalla genetica e dalla scienza in generale; ma siamo sicuri di poter applicare questo concetto anche alla nostra specie? Che in natura esistano nella classificazione tassonomica di una specie differenti razze, come detto, non è certo un segreto, ma per quanto riguarda l’essere umano questo concetto non è applicabile e tenteremo di capirne le motivazioni nel corso di questo articolo. Il metodo scientifico, dalla sua fondazione ad oggi, si è basato sull’evidenza sperimentale ovverosia sulla capacità empirica di verificare o falsificare una determinata ipotesi. Partendo dall’ipotesi, attraverso l’esperimento, lo scienziato è in grado quindi di validare la suddetta ipotesi, oppure di falsificarla e quindi di renderla non scientificamente valida. È proprio attraverso l’evidenza sperimentale che si è falsificato il concetto tassonomico di razza, applicato alla nostra specie. Le razze umane quindi non esistono e l’uso di questo termine è scientificamente errato. La razza non è altro, biologicamente parlando, che una sotto-categoria specifica che identifica il rapporto di parentela o di discendenza che unisce individui o gruppi di individui. Dal punto di vista tassonomico quindi, la razza (esattamente come altre sotto-categorie specifiche) dovrebbe permetterci di delineare precisamente e scientificamente i nostri rapporti di parentela o di discendenza, cosa che invece non riesce a fare. Ecco quindi che proprio il concetto di razza, se applicato alla specie umana, non è più valido in quanto non capace di risolvere al suo compito primario. Se però la razza non riesce in questo compito, ci riesce l’ecologia, la quale va ad identificare lo strettissimo rapporto che individui e gruppi appartenenti alla specie umana intessono con il luogo in cui sono nati e cresciuti. Proprio attraverso questa osservazione, è facilmente spiegabile la variabilità fenotipica che gli esseri umani presentano tra di loro. Non esisterebbero dunque razze superiori o razze inferiori né altresì esisterebbero razze in generale, ma solamente la <>. E che cos’è questa variabilità? Il concetto di variabilità si inserisce nella speculazione della teoria evoluzionistica darwiniana, come fenomeno di divergenza genotipica all’interno di una specie o di una sottocategoria tassonomica che permette la sopravvivenza stessa della specie. Ecco allora, che se il concetto di razza non riesce a spiegarci i nostri aspetti così differenti l’uno dall’altro, il concetto di variabilità invece ci riesce perfettamente, inserendo la specie umana in una teoria dell’evoluzione ben più completa di quanto si pensi comunemente. Ma, da un punto di vista prettamente sperimentale, il concetto di razza è stato falsificato solamente nella seconda metà del Novecento, quanto la genetica si è imposta come scienza autonoma. Solo grazie a questa disciplina e al progredire degli strumenti tecnologici, è stato possibile verificare il concetto di variabilità come alternativa al concetto di razza. Per esempio, si è dimostrato come gli esseri umani non abbiano delle colorazioni cutanee ben determinate, ma come queste stesse colorazioni cutanee abbiano invece un andamento a campana in tutti i popoli, il quale quindi fa sì che un individuo particolarmente chiaro di una popolazione abbia il medesimo colorito di un individuo particolarmente scuro di un’altra popolazione. È quindi assolutamente impossibile separare in gruppi netti e chiari gli individui della specie Homo sapiens. Perché, vi starete chiedendo, sto riportando questo discorso antropologico in un articolo di giornale? Perché purtroppo ai giorni nostri, si sta ricadendo nell’errore passato del ritenere valido il concetto di razza. Il dibattito politico moderno gravita intorno a speculazioni razziste che puntano su delle differenze scientificamente non esistenti. L’opinione publica viene desensibilizzata verso la ben troppo facile identificazione di un capro espiatorio diverso da noi. Ma, come abbiamo già avuto modo di vedere in un altro articolo di questa rubrica culturale, il meccanismo del capro espiatorio non porta a lungo termine, altro che non una escalation di violenza. Le differenze che oggi vengono ritenute sufficienti ad identificare un nemico, un diverso, un altro, un <> non sussistono né dal punto di vista teorico né dal punto di vista sperimentale. Ancora una volta, la scienza ci ha dimostrato come quelle che a noi sembrano differenze invalicabili, non siano altro che frutto dell’adattamento straordinario che l’essere umano, come specie e non come razza, ha nei confronti dell’ambiente in cui nasce e cresce, generazione dopo generazione. La variabilità non è quindi il nostro nemico, non è l’avversario contro cui noi dobbiamo combattere, ma è proprio quell’elemento che ha permesso alla nostra specie di sopravvivere, di adattarsi e di diffondersi su tutto il Pianeta Terra.

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