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giovedì, 28 Novembre, 2024

La parola di Dio – Le lettere ebraiche ed il loro simbolismo (XI)

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Nome: Kaf

Valore Ghematrico: 20

Significato: Mano tesa

Da un punto di vista grafico, la forma della Kaf può, sotto certi aspetti, ricordare quella della Beth, sebbene abbia una curvatura più accentuata sul lato destro ed un’apertura maggiore sul sinistro. Da un punto di vista fonetico, invece, la Kafappartiene al gruppo delle consonanti dette begadkefat, ovverosia di quelle consonanti (Beth, Ghimel, Daleth, Kaf, Pe, Tau) che, quando nella forma grafica presentano un puntino al loro centro (dageš lene), cambiano la propria pronuncia. La Kaf può dunque essere pronunciata “k” quando senza puntino o “ch”, esattamente come la Chet, quando presenta il dageš lene.

A livello semiotico, invece, non si può non notare come i due significati di Jod e Kaf siano stranamente molto simili. Ambedue queste lettere, infatti, significano “mano”, sebbene con due accezioni fondamentalmente differenti. Laddove infatti la Jod è una mano tesa pronta ad intimare un “Alt”[1], la Kaf è una mano raccolta pronta a cucchiaio pronta per ricevere qualcosa. 

Cucchiaio, in ebraico, è infatti detto Kaf

Il significato di questa lettera può essere quindi pienamente compreso solamente se guardato in relazione con quello della lettera precedente. Il doppio significato di “mano”, presente nell’alfabeto ebraico in due accezioni fondamentalmente diverse, potrebbe sottolineare un messaggio simbolico ivi contenuto che è certamente degno di nota. Un testo rabbinico sottolinea come i bambini nascano con il pugno chiuso, quindi con la Yod, quasi ad affermare la propria volontà ed il proprio possesso sul mondo; d’altro canto però, gli uomini muoiono con le mani aperte, quindi con la Kaf, simbolo dell’eterna impossibilità di portare alcunché nell’aldilà. 

Yod e Kaf sono dunque un binomio simbolico in cui ciascun elemento non può essere pienamente compreso senza l’ausilio dell’altro. La mano, simbolo par excellence della protesi umana, è quindi impiegata come strumento per protendersi all’altro e, dando o ricevendo dal diverso, comprendere se stessi. 


[1] Paolo De Benedetti, L’alfabeto Ebraico, Morcelliana, Lavis 2011, p.63

di Stefano Sannino

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