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giovedì, 18 Luglio, 2024

CARNIVAL STRIPPERS. Lo striptease negli anni ‘70 tra sfruttamento ed emancipazione

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di Alessandro Giugni

Susan Meiselas, nata nel 1948 a Baltimora e laureata in educazione visiva ad Harvard, ha segnato profondamente il mondo della fotografia con una delle opere miliari di questo medium, Carnival Strippers, pubblicato per la prima volta nel 1976.

Questo lavoro nacque da un’intuizione della Meiselas nel corso di un viaggio nel Midwest originariamente finalizzato a documentare l’attività di fiere e circhi itineranti. Durante una delle ultime tappe, Susan e il fidanzato Dick Rogers si imbatterono in un evento singolare e fino a quel momento non ancora immortalato: dietro alle quinte di uno dei palchi alcuni spettatori, a fronte del pagamento di 2$, venivano ammessi ad assistere a balli provocanti e striptease posti in essere da quelle stesse ballerine che, poc’anzi, si erano esibite sul palco indossando costumi dai colori sgargianti. La fotografa, poco più che ventenne, rimase folgorata dalla disinibizione di quelle donne e decise di dare vita a un progetto fotografico volto non solo documentare tale sfaccettatura della società, ma anche e soprattutto a dare voce a tutte quelle donne che, per i motivi più disparati, avevano intrapreso una simile “carriera”.

Le 164 pagine di Carnival Strippers accolgono le fotografie scattate dalla Meiselas in un arco di tre anni, tra il 1972 e il 1975, in un viaggio continuo tra Boston, dove Susan viveva, e tre Stati americani, New England, Pennsylvania e South Carolina. Le particolarità di quest’opera sono innumerevoli, ma tre sono i principali caratteri distintivi di essa.

In primo luogo, si tratta di un lavoro nato dalla cooperazione e dal confronto continui tra Susan e le spogliarelliste. Dopo ogni spettacolo, infatti, la fotografa faceva ritorno a Boston per sviluppare e stampare i negativi, così da permettere, la settimana successiva, alle ragazze che aveva immortalato di indicare gli scatti nei quali si piacevano maggiormente. Peculiare, inoltre, la scelta di aggiungere le iniziali di ogni spogliarellista a fianco dei frame che le ritraevano, dando così un nome e un cognome ai volti impressionati sulla pellicola.

La seconda particolarità di quest’opera (e forse il suo tratto distintivo primario) risiede nella decisione della Meiselas di registrare le voci e i racconti delle persone incontrate in quei tre anni: non solo le spogliarelliste, ma anche i loro fidanzati, manager e alcuni spettatori. Gli audio così ottenuti vennero poi utilizzati come sottofondo durante l’esposizione di quelle fotografie nelle mostre che le hanno ospitate nel corso degli anni, permettendo allo spettatore di vivere un’esperienza di totale immersione nelle scene catturate dall’obiettivo e fissate su carta. Una scelta avanguardista come questa non aveva precedenti nel mondo della fotografia e riscosse un enorme successo, a tal punto che la Meiselas decise di impiegare nuovamente questa tecnica durante la mostra itinerante “Meditations”, tenutasi nel 2018 tra Barcellona, Parigi e San Francisco.

Da ultimo, non possiamo non menzionare la rilevanza sociale di questo lavoro. Esso, infatti, si inscrive nel periodo storico in cui stavano nascendo i primi gruppi femministi, i quali vedevano negli striptease una delle manifestazioni della sottomissione della donna. La Meiselas, a fronte dell’assidua frequentazione di quegli ambienti e grazie alle numerose, e spesso confliggenti tra loro, testimonianze delle donne ritratte, riuscì a descrivere perfettamente i sentimenti contrastanti dell’America più profonda riguardo a temi delicati come il sesso, l’oggettificazione del corpo femminile e il desiderio di indipendenza delle donne.

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