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RUGGERO PILLA: “LA MIA PROFESSIONE È LA MIA UNICA VERA PASSIONE COSTANTE, L’ENERGIA CHE MUOVE IL MIO VIVERE”

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Ruggero Pilla si è formato in organo, composizione organistica e pianoforte in Italia, perfezionandosi anche in Francia. Da anni è attivo sulla scena europea come concertista all’organo, al pianoforte, come produttore musicale e didatta. Tra i vari luoghi in cui si è esibito ci sono Notre-Dame de Metz (Lorena), Palazzo Reale (Milano), Palazzo della Loggia (Brescia).

 

Com’è stato, agli inizi della pandemia, dover riorganizzare, e a tratti forse anche reinventare, la tua professione?

«Appena compresa l’entità del fenomeno pandemico, ed intuito il peso che le contromisure avrebbero avuto sul mondo concertistico, alcuni colleghi hanno immediatamente reagito con concerti in grandi spazi pubblici in Germania e Svizzera, ai quali gli spettatori potevano assistere dai balconi di casa. Le restrizioni in Italia erano più severe e la situazione decisamente più grave nelle prime settimane, quindi ho preferito orientarmi immediatamente sulla produzione di musica per audiovisivi, attività che – da diverso tempo – già svolgevo nel mio studio personale. L’attività è stata frenetica e sempre di professione musicale si tratta. È stata una riscoperta preziosa, una transizione improvvisa ma indolore e un’occasione per mettere mente alla preparazione di vecchi progetti che era ora di alleggerire dalla naftalina del cassetto dei sogni.»

 

Ti è capitato, in questi mesi, di sentirti immobile dal punto di vista professionale?

«Assolutamente no; non sono passati che pochi giorni prima che trovassi un modo per continuare a fare musica. La mia professione è la mia unica vera passione costante, l’energia che muove il mio vivere: quando penso alla musica sto già lavorando. Il giorno in cui mi sentirò professionalmente immobile capirò di essere morto.»

 

Cosa più ti manca delle esibizioni in pubblico?

«A parte l’ovvietà della passione per la sfida adrenalinica della diretta – quella vera, dove la connessione non si interrompe mai –   manca l’imposizione di un’unica occasione per dare il meglio. Sono una persona estremamente perfezionista e mi abbandono per giorni o settimane ad un estenuante LABOR LIMÆ quando lavoro in studio; vivo come l’occasione di dovermi limitare in questo senso talvolta come un momento liberatorio, ma in ogni caso sempre molto stimolante dal punto di vista artistico. Un salto nel vuoto di una coscienza delle proprie possibilità alla quale nessuna conferma mette un limite definitivo.»

 

Come ti trovi ad insegnare online? Credi che sia una reale alternativa alla didattica dal vivo?

«Sono dell’avviso che didattica a distanza e musica siano assolutamente incompatibili. Anche se fosse possibile dotare tutti gli allievi di una strumentazione sufficiente a far sentire in modo comprensibile quello che dovrebbero sottoporre all’insegnante, mancherebbero una percezione visiva tridimensionale del gesto – fondamentale per comprendere i bisogni dello studente – e, soprattutto, il suo omologo di verso opposto: il meccanismo mimetico che spinge inconsciamente un allievo ad apprendere dall’osservazione del maestro viene irrimediabilmente azzerato da una visione bidimensionale. In ultimo, non crediamo veramente che un paio di cuffie o di altoparlanti possano in qualche modo avvicinarsi all’ascolto diretto: quando si fa musica seriamente, i dettagli sono la spina dorsale del discorso ed apparecchiature appena sufficienti a diffondere un sottofondo sonoro in ascensore non sono assolutamente da tenere in considerazione.»

 

Che effetti ha avuto la pandemia, se ne ha avuti, sul tuo modo di fare arte?

«Mi ha portato a ripensare le dinamiche comunicative della mia professione. Da sempre mi interrogo sulla struttura e l’efficacia delle forme comunicative della musica, questo ribaltamento sociale è stata un’ulteriore spinta verso una palingenesi del mio discorso, che ha preso una via ardua e, pertanto, ricca di sorprese molto promettenti.»

 

Ti sei sentito un emarginato in quanto musicista, ed organista, nell’ultimo anno? E prima dell’avvento del Covid?

«Il mondo organistico e quello della musica classica, in generale, sono storicamente caratterizzati da dinamiche interpersonali un po’ anomale e raramente solidali. Un organista, per così dire, “progressista” viene sempre e comunque emarginato da gran parte dei colleghi, a prescindere dall’attuale situazione. Le limitazioni legate alla pandemia hanno spinti però anche alcuni spiriti tra i più solitari a partecipare a bellissime iniziative di divulgazione nate sui social network più popolari. Sapevo che sotto l’apparente rigidità della crosta del mondo organistico – non priva di qualche macchia di rancorosa invidia – si celasse un nucleo più soffice, ma non avrei pensato di trovarmi di fronte ad un così diffuso desiderio di condivisione!»

 

Che cosa ti auguri per il tuo futuro d’artista?

«L’unica cosa di cui ho veramente bisogno: tanta musica.»