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sabato, 27 Aprile, 2024

Elogio delle erbacce

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Hanno conquistato il mondo. Hanno invaso ogni anfratto con i loro corpi sinuosi o svettanti, con la loro crescita veloce e la loro adattabilità eccezionale. Non sono mostri alieni: sono le erbacce.

La storia delle erbacce è avvincente più di quanto si creda. Fin da quando l’uomo ha cominciato a coltivare le piante, le erbacce hanno fatto la loro comparsa, invadendo i terreni, adattandosi e perfino mimetizzandosi per confondersi con le specie coltivate. Ma cos’è un’erbaccia?

La panace di Mantegazzi, una delle erbacce di cui parla il libro.
La panace di Mantegazzi, una delle erbacce di cui parla il libro.

A questa domanda risponde Richard Mabey, autore del bellissimo libro “Elogio delle erbacce”. L’autore spiega come in realtà il concetto di erbaccia sia culturale. Si definisce così una pianta che cresce nel posto “sbagliato”, dove cioè non dovrebbe essere. Certo, la cosa non è così semplice. Ci sono specie particolarmente invadenti che sembrano voler distruggere il nostro mondo invadendolo ovunque. Chiunque abbia un giardino sa cosa significhi avere a che fare con gramigna, artemisia, vilucchio…

Eppure queste specie non sono sempre pericolose come si crede. In realtà la gran parte di esse sono semplicemente specie opportuniste, che spuntano sui terreni “disturbati” ovvero in quei luoghi dove qualche fatto più o meno catastrofico ha danneggiato la vegetazione e liberato nuovi spazi. E il mondo antropizzato è pieno di luoghi come questi. Scarpate ferroviarie, strade abbandonate, edifici in disuso, ma anche giardini continuamente falciati e aiuole ben vangate. E le erbacce ne approfittano, ci usano sistematicamente per il loro interesse. Oltre a crescere sui terreni da noi preparati, infatti, esse scroccano volentieri un passaggio per emigrare altrove. Indicativo è l’esempio, citato da Mabey, del Senecio squalidum, un’erba dai fiori gialli originaria delle pendici dell’Etna. Verso la metà del XVIII secolo una piantina di Senecio fu avvistata nel giardino botanico di Oxford. Come fosse arrivata lì, nessuno riuscì a scoprirlo. Probabilmente un seme aveva viaggiato attaccato a qualche altra pianta proveniente dalla Sicilia o sulla sua zolla. O forse, più avventurosamente, attaccata ai vestiti di qualche viaggiatore. Pochi anni dopo i discendenti di quella prima piantina crescevano sui muri e tra le pietre del giardino botanico. Le crepe dei muri a secco offrivano un ambiente simile a quello mediterraneo e il Senecio si adattò volentieri. Dal giardino botanico cominciò a diffondersi lungo tutti i muri della città fino a raggiungere la stazione dove prese, come ogni buon viaggiatore, il treno. Nei primi anni del XX secolo, aveva invaso tutta l’Inghilterra, colorando di giallo i muri di tutto il regno. Il botanico George Claridge Druce negli anni venti descrisse un viaggio fatto in compagnia dei semi di Senecio, entrati dal finestrino del treno svolazzando, e usciti venti chilometri dopo.

A volte però le erbacce non viaggiano da clandestine. Molte di loro sono state importate dall’uomo per essere usate come piante alimentari o, più

La copertina del libro.
La copertina del libro.

frequentemente, come piante ornamentali per il giardino. La Buddleja fu importata proprio allo scopo di godere la bellezza dei suoi fiori viola a coda di volpe che, tra l’altro, attirano le farfalle. Del tutto incurante dei confini, questa pianta ha invaso ogni incolto disponibile. Se ne vedono perfino sui tetti e sui cornicioni. Un paio di anni fa me ne spuntò una sul terrazzo, nella canalina di sfogo delle acque, dove si era depositata un po’ di sporcizia. La superficialità degli esseri umani è una grande arma nelle mani di queste specie opportuniste. In Australia le piante aliene (provenienti cioè da altre parti del mondo) hanno ormai preso il sopravvento grazie all’assenza di parassiti e al fatto che la vegetazione locale, non avvezza al pascolo delle bestie e alla presenza umana, sopporta assai meno la nuova situazione del paese. In Europa invece le erbacce trionfano nei terreni disturbati, ma se nulla interviene a mantenere il “disturbo” esse spariscono nel giro di pochi anni per lasciare il posto alle specie arboree autoctone, oppure (assai più raramente) si naturalizzano, creando un equilibrio con le specie originarie del luogo. In tal senso il pericolo ecologico dell’invasione da parte delle piante aliene è meno grave di quanto si pensi. Ma nell’immaginario collettivo spesso desta emozioni contrastanti, creando miti e leggende. Durante la seconda guerra mondiale Londra fu abbondantemente bombardata e sulle rovine crebbero in men che non si dica decine di specie di erbacce tra cui il Senecio e l’ortica. Nella mente degli abitanti le erbacce divennero al contempo simbolo della rinascita e della vita che trionfa e antipatici invasori che approfittavano della distruzione.

Ma il caso forse più assurdo di leggenda urbana lo si deve attribuire a dei cospirazionisti americani. In quel paese alla fine del XIX secolo fu importata una pianta rampicante giapponese per scopi ornamentali. In seguito ci si accorse che essa era gradita ai bovini e fu coltivata come foraggio. Essendo poi una pianta di grande e veloce sviluppo (arrampica fino a trenta metri d’altezza e cresce trenta centimetri al giorno) fu usata anche per stabilizzare terrapieni e terreni pendenti. Quando ci si accorse dell’errore era ormai tardi. Negli anni ’40 gli USA bandirono questa specie e cominciarono a combatterla, ma ormai era ovunque e creava problemi enormi coprendo edifici, tralicci, alberi e soffocando interi boschi. Il kudzu, questo il nome del rampicante, è talmente virulento nella sua espansione da aver ispirato la mente contorta di alcuni cittadini americani che hanno diffuso una storia storicamente inesatta e molto fantasiosa sul suo conto. Secondo loro, i giapponesi avrebbero contaminato le foreste d’America con questa specie per far crollare l’economia degli USA. I primi semi sarebbero stati spediti da alcune spie nipponiche in una busta anonima all’ente forestale americano, i cui addetti, ignari del terribile pericolo, avrebbero mischiato i semi con quelli da piantare per i rimboschimenti. Ma non è tutto. Dopo decenni di attesa i giapponesi si trovarono davanti un grande pericolo che avrebbe potuto far fallire la loro impresa: il governo americano cominciava ad accorgersi della minaccia del kudzu. Il Giappone decise quindi di intervenire e per creare un diversivo che permettesse alla pianta di continuare a invadere indisturbata gli USA bombardò Pearl Harbor. Lascio a voi il giudizio sull’attendibilità di questa teoria. È però indubbia l’influenza che il kudzu ebbe, ed ha, anche sull’immaginario collettivo e sull’emotività delle persone.

Richard Mabey, autore del libro.
Richard Mabey, autore del libro.

Non tutto però è negativo quando si parla di erbacce. L’autore nota come esse siano utili proprio come “riparatori” dei terreni disturbati. Un terreno intossicato, bruciato o completamente divelto è difficile, se non impossibile, da colonizzare per le piante forestali a lungo ciclo di vita. Sono le erbacce a renderlo nuovamente vivo, a sobbarcarsi l’onere della bonifica e a rendere possibile la nascita della foresta. Secondo Mabey, e io condivido la sua opinione, senza le erbacce l’agricoltura non sarebbe durata molto. I primi agricoltori infatti usavano un terreno fino a sfinirlo e poi lo abbandonavano per lavorarne un altro. Le tecniche per mantenere la produttività come la rotazione o la concimazione non erano ancora conosciute. Se non ci fossero state le erbacce a sanare i terreni esauriti dall’agricoltura, l’uomo avrebbe dovuto abbandonarne la pratica ben presto. Ma per fortuna le erbacce ci sono e colonizzano i nostri spazi regalandoci una grande varietà di colori, forme e, a volte, inconvenienti. Alcune erbacce sono infatti tossiche o provocano allergie. Ma liberarsene non è cosa semplice. Sempre che sia possibile. Da buone opportuniste spuntano ovunque, perfino nei luoghi più impensati. Discariche, marciapiedi, tetti, fossati. Ogni posto è buono. Basti citare un aneddoto che Mabey racconta, proprio riguardo i luoghi impensabili dove spuntano le erbacce. Un giorno un chirurgo si vide portare in sala operatoria un uomo: una piantina di alfalfa gli era spuntata nella palpebra.

Le erbacce non colonizzano solo i luoghi reali, ma anche il nostro immaginario. Pensate a tutti i modi di dire ispirati alle erbe. O pensate ai film di fantascienza dove piante aliene invadono il pianeta. Una curiosità a proposito di film: sicuramente ricordate tutti gli immancabili arbusti secchi che rotolano spinti dal vento nei film western. Senza di loro non ci sarebbe la giusta atmosfera. Eppure, all’epoca in cui i western sono ambientati, quelle piante in America non c’erano. L’erba cali giunse dall’Europa solo alla fine del XIX secolo.

Mi sono già dilungato troppo, ma le erbacce hanno sempre appassionato anche me. Sul terrazzo ho un vaso con un esemplare di Centaurea (fiordaliso) e da piccolo piantai qualche piantina di artemisia nell’orto. Mia nonna le eliminò prontamente intimandomi non farlo mai più. In effetti sono estremamente invadenti. Due parole sullo stile però sono doverose.

Mabey scrive molto bene. Il libro è scorrevole e divertente nonostante la ricchezza di citazioni, storie e accenni scientifici precisi e frutto di anni di ricerca. Tutto il libro è attraversato da uno humour tipicamente inglese e si percepisce, anche grazie a ciò, il grande affetto che l’autore prova per queste bistrattate piante. Quasi sempre ne parla come fossero persone, accennando alla loro mancanza di educazione nello scavalcare i confini, della loro ostinazione o descrivendone il carattere anche minuziosamente. E alla storia delle erbacce, l’autore incrocia la nostra mostrandoci come, dopo tutto, non siamo noi i soli a determinare il corso degli eventi.

l’”Elogio delle erbacce”, edizioni Ponte alle Grazie, è un libro imperdibile per ogni appassionato di botanica o giardinaggio, ma è anche molto piacevole e interessante per chi di piante mai si è interessato. Da non perdere.

A presto!

Enrico Proserpio

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