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giovedì, 18 Aprile, 2024

Vini, biologico e tante verità da sfatare

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di Martina Grandori

Ogni tanto si incontrano ancora persone che vanno contro corrente. Mi è capitato di recente di conoscere Fabio Cagnetti, 38 anni marchigiano di nascita – San Benedetto del Tronto – e romano d’adozione ha fin da ragazzino una passione per il buon cibo e il buon bere, in 13 anni di lavoro ha degustato oltre 130.000 vini affermandosi come giornalista, critico, consulente, importatore e in non ultimo, distributore di etichette di nicchia.Ma facciamo un passo indietro, la vita di Fabio Cragnetti è l’espressione di quell’eclettismo dei latini, capaci di cambiar pelle, di trasformare una passione in un business.La sua storia inizia come critico musicale per Il Mucchio Selvaggio, rivista indipendente di cultura e musica fondata nel 1977, per 41 anni il riferimento in edicola per tutti gli appassionati. Nel 2006 Cagnetti ha la fortuna di conoscere ad un convegno di Coldiretti a Villa d’Este Paolo Massobrio, firma de Il Golosario, potente penna nel mondo dei vini. La sintonia è immediata, Cagnetti inizia a scrivere di vini e cibo, sono due macro argomenti che lo appassionano, due macro argomenti dove c’è molta cultura e molto sapere tecnico che purtroppo spesso non viene più recensito. Arrivano collaborazioni presigiose, diventa una firma dell’inserto settimanale Agrisole del Sole 24 ore, scrive per Dissapore e Intravino, due siti molto valutati, l’ambito sono  sempre il vino e il cibo, ma sempre con un piglio diverso, Cagnetti aggiunge quel tocco in più che è l’approfondimento, investiga, scova. Come un critico d’arte si documenta, in fondo l’enogastronomia è una forma d’arte. Arrivano anche le amicizie stellate, Massimo Bottura diventa un amico, lo stesso Bottura resta affascinato da come Cagnetti riesca a capire, raccontare e interpretare quei suoi piatti che dietro la mise en place, hanno un lavoro sofisticato di realizzazione e tanta cultura. Cagnetti coglie il binomio cibo e cultura e lo fa un suo modus operandi. Vuole trasformare l’amore per il vino in qualcosa di più, un po’ come fanno gli chef, che da cuochi diventano imprenditori. 

E così è, nel 2010 mette il piede dall’altra parte della barricata lanciando il gruppo d’acquisto Ilpostvino (erano gli anni in cui spopolavano i gruppi d’acquisto). Libero, slegato da vincoli commerciali o dalle pressioni della grande distribuzione inizia a commerciare prodotti di nicchia, etichette forestiere, il tutto partendo da un piccolo garage che gli faceva da magazzino e da base operativa. Scrive molto sui vini, lo stile è sempre colto ma non distaccato dal tempo, una forma di story telling legata al mondo dell’enologia, un azzardo geniale nel 2010 quando di tutto ciò, di questo stile c’era ben poco in giro. Il business pian piano si consolida, nel 2013 non è più solo on line, ma off line direzionato agli addetti ai lavori (enoteche e ristoranti), apre con dei soci finlandesi due enoteche, a Tallin e a Parigi, per poi tornare a essere studente nel 2016, merito di Frank Merenda, suo maestro che lo apprezza e lo definisce un unicorno, cioè una persona dalla doppia abilità: Cagnetti non è solo un esperto di vini, ma è anche un uomo di marketing, capace di consigliare in prima persona i clienti grazie ad una cultura stratificata del mondo vinicolo. Nasce così Unicorno, la società il cui scopo oggi è diffondere e divulgare la cultura del vino contemporaneo grazie a corsi avanzati di formazione capaci di trasmettere sapere, savoir faire, technicalities e l’arte che si c’è dietro ad una etichetta, un’idea che prende spunto dall’avvincente lavoro di Mario Soldati nei tre volumi Vino al vino dove Soldati racconta i suoi tre viaggi compiuti attraverso l’Italia alla ricerca dei vini genuini, alcuni famosi, altri noti, altri ancora no. Ma non si tratta di una semplice guida enologica: è un libro che parla di paesaggi, di uomini, di case, ville e castelli incontrati e amorevolmente scrutati in un itinerario alla ricerca di una civiltà autentica, legata alla terra e al clima, che ha nel vino uno dei suoi prodotti più sinceri, frutto dell’equilibrio tra natura e cultura. E così Cagnetti scrive nel 2019 Manifesto del vino contemporaneo (20 €, in vendita su:www.manifestodelvinocontemporaneo.it), un omaggio ai suoi maestri dove racconta la sua storia, fa un interessante punto della situazione del vino oggi ponendo per  primo al mondo che pone dei limiti alla percentuale di acetaldeide, la componente più nociva del vino. Una denuncia di come si sia persa fra i produttori di vino la coerenza con il territorio (ormai molti vitigni sono omologati e replicabili facilmente, tralasciando la loro zona d’origine tutto ciò che ne consegue) e di come l’abuso di chimica e tecnologia nelle cantine sminuiscano il valore artigianale del vino. E poi Cagnetti sferra due attacchi eclatanti. Al biologico, un trend che ha messo in ginocchio gli artigiani autoctoni del vino, privilegiando di fatto grandi realtà, supportate a loro volta da decreti legge e fondi, che di fatto hanno trasformato il biologico in un format di larga diffusione (troppe bottiglie sugli scaffali), mettendo in crisi la filiera corta dei piccoli produttori di vino nati bio. Il secondo attacco lo sferra contro il vino naturale, altra beffa che definisce un movimento anarchico senza un disciplinarlo e un protocollo. Non ci sono parametri per definirlo, il risultato è un vino pieno di difetti, di sapore sgradevole e i quantitativi di acetaldeide – che volutamente non vengono misurati – elevati, rendendolo così non più un qualcosa di naturale, ma anzi di più nocivo (è dimostrato che l’acetaldeide è la sostanza cancerogena degli alcolici)  di uno raffinato.

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