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venerdì, 19 Aprile, 2024

Quanto inquina un paio di sneakers? Molto. Ma grazie ad un’azienda italiana qualcosa si può migliorare

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di Martina Grandori

In un mondo drogato di fitness, anche le sneakers pesano sull’ambiente, il loro impatto spesso viene dimenticato, pensando che tanto si tratta di innocue calzature, tanto male non possono fare. Invece no, il complicato processo di smaltimento delle varie componenti di una scarpa sportiva è una cosa complicata in un mondo che sta cercando di avviare il processo per un mondo plastic free. Ecco perché è utile sapere alcune cose prima di cambiarle o di buttarle nel cestino.

Prima cosa: un buon paio resiste ad un utilizzo di 800 chilometri di corsa, impariamo a sfruttarle al massimo, a beneficiare di quelle suole ipertecnologiche e ammortizzanti che permettono un’attività sportiva all’insegna delle massime performance. Dopodiché si possono indossare per un utilizzo meno specifico dell’attività fisica, banalmente per camminare comodamente nel tempo libero, per quando si ha voglia di look da casual friday, per andare al parco con il cane o fare attività di giardinaggio o se si è in fase di trasloco o decluttering della propria casa. Le sneakers di oggi, nella maggior parte dei casi non è assolutamente realizzato con materiali riciclati o ecologici, la tomaia è fatta con polimeri ed elastomeri (ossia quei polimeri che hanno la capacità di allungarsi fino a 10 volte in più) di origine fossile, prodotti qui nel 100% delle volte nel Continente asiatico, già sotto stress per i tassi di emissioni, scarti chimici nelle acque e molto altro ancora. È importante sapere anche le condizioni di vita e dia tutela delle persone che lavorano in queste mega aziende del Far East: è vero sì che grazie ad esse sono stati generati infiniti nuovi posti di lavoro, ma spesso le condizioni sono simili ad una schiavitù. Non dimentichiamolo.

C’è poi la logistica, altro tasto dolente: le sneakers viaggiano per troppi chilometri dentro a imballaggi che sprecano materia preziosa come la carta o peggio ancora avvolte da pellicole di plastica. La globalizzazione ha dato vita ad una filiera infinita e tutto arriva tramite container che impiegano settimane per arrivare a destinazione. Idem per le materie grezze, sono tutte prodotte in luoghi remoti, e a basso costo, per poi arrivare nelle fabbriche di assemblaggio “rubando” il titolo di prodotto locale, ad esempio “Made in Italy” quando sempre più spesso non è così. 

Smaltirle? Complicatissimo. Sono circa una decina le componenti materiali impiegate per una scarpa del genere, i 360 passaggi per assemblarle rendono quindi difficilissima, se non impossibile, la “separazione” dei materiali quando si decide di dismetterle. E tristemente dalle indagini di mercato, delle sneakers ci si stufa presto, si sostituiscono almeno due volte all’anno, senza soffermarsi sull’effetto successivo.
Una buona notizia in tutto ciò esiste e si chiama Esosport, unica azienda in Europa che si occupa del riciclo di scarpe sportive. L’impianto di Esosport per il riciclaggio è in grado di ottenere, a partire dalla gomma delle scarpe, diverse granulometrie. Il materiale viene triturato e ridotto in granulometria uniforme che viene poi re-impiegata per la pavimentazione gommosa dei parchi giochi. Per aderire al progetto di riutilizzo delle sneakers, Esosport ha istituito moltissimi punti di raccolta dislocati in tutta Italia. Sul loro sito ci sono tutte le informazioni. Evviva la circolarità.

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