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venerdì, 29 Marzo, 2024

Mostra di scultura: la poetica della materia. Quattro scultori contemporanei della Permanente a confronto.

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La ricca rassegna estiva vigevanese, organizzata dal Comune di Vigevano presso il Castello Sforzesco, si arricchisce di un altro prestigioso evento. Sabato 26 giugno, infatti, si inaugura alle ore 11.00 presso la seconda Scuderia la mostra: “La poetica della materia. Quattro scultori contemporanei della Permanente a confronto”. Si tratta di una interessante esposizione di sculture contemporanee realizzate con l’impiego di materiali molto diversi fra di loro, quali la pietra arenaria, il bronzo, la terracotta e la cartapesta e metallo. Un percorso espositivo dalla dimensione estetica bivalente, in cui si incontrano l’area della classicità rappresentata dal contenitore, la prestigiosa Scuderia rinascimentale, e l’area della sperimentazione, ben espressa dalle sculture esposte. È stato realizzato anche un catalogo della mostra con prefazione artistica bilingue di Andrea B. Del Guercio che scrive: L’organizzazione di un’esposizione dedicata alla scultura rappresenta un’importante novità nel panorama italiano di oggi; abbiamo assistito alla ‘scomparsa’ e alla ‘cancellazione’ non solo degli eventi dell’arte nella drammatica stagione pandemica, ma in quell’arco di tempo molto più ampio che coinvolge almeno l’ultimo ventennio. La scultura contemporanea, centrale nella dimensione sociale dell’arte pubblica, ha subito in particolare la contrazione espositiva più forte. Il valore positivo di questo evento, negli spazi straordinari del Castello di Vigevano, assume un ruolo di portata nazionale con le sue specifiche qualità culturali ed espressive; non sfugge a chi scrive infatti, la perfetta dimensione ambientale della ‘seconda scuderia’ realizzata nel 1473 con la distribuzione a ‘galleria’ delle opere, in dialogo con il doppio colonnato. Vorrei sottolineare come importante è per l’opera d’arte e per la scultura, per la fruizione circolare della tridimensionalità, le specificità dello spazio, che in questa sede risulta assolutamente perfetta. Ho collegato Pino Di Gennaro e la sua scultura alla musica e al canto; nella successione degli anni trascorsi insieme a Brera, tutte le volte che ricevevo una sua monografia e un catalogo, ma anche il suo volume dedicato alle tecniche edito da Hoepli, riconoscevo la vivacità policroma della materia e la sostanza di un processo creativo teso ad esprimere un’insistita dimensione sonora; le stesse opere, con quelle ‘bocche’ scandite lungo il volume, inteso quale cassa armonica della scultura, suggeriscono l’estensione vocale dell’arte; come canne di un organo, profondità di un oboe e di un clarino, la scultura di Di Gennaro entra, attraverso la bellezza formale, in quella musicale . Ad ogni fruitore è data occasione di vedere e di ascoltare insieme, attraverso la relazione tra la struttura della forma e l’esuberanza del colore, dalla cui unione, frutto di un cesellato lavoro e di congiunzione paziente tra mille frammenti, nascono sia un ‘assolo’ che una sinfonia. Luigi Fulvi introduce nel percorso una pietra arenaria dall’intenso color paglierino, affrontata con una lavorazione controllata, priva di forzature geometriche ma anche escludendo le sottolineature del racconto figurato; tutto è trattenuto ed ogni elaborato risponde ad un gesto senza eccessi, tendente a cercare il delicato equilibrio tra la materia e la forma, pronto a comunicare ‘sottovoce’, evitando sia la durezza degli spigoli che l’aggressione del volume, per distendersi sull’increspatura plastica della superficie; la natura epidermica della materia, la sua porosità che la conduce verso valori ‘caldi’ delle arenarie rispetto a quelli ‘freddi’ dei graniti, induce lo scultore a riconoscersi in essa, senza violenza e senza imposizione, elaborando una grammatica visiva utile alla profondità che solo il dialogo permette di raggiungere…anche attraverso la fruizione. Alfredo Mazzotta ‘disegna’ il volume nel bronzo con accortezza estrema, inseguendo nel tempo, con determinata volontà espressiva, quella che potremmo definire la sua personale ricerca della perfezione; la raggiunge predisponendo una scandita successione di soggetti plastici contrassegnati dall’indipendenza espressiva della propria vita interna, per poi tornare ad essere collegati tra di loro attraverso il fil rouge della ‘volontà di ricerca’. Dal singolo al collettivo, dalla forza che si esercita su se stessa, alla processualità che si distende per capitoli, lo ‘sguardo’ e il ‘consumo’ del fruitore dell’arte sosta e avanza, si sofferma e si concentra sullo sviluppo di una curva, penetra il varco della materia accuratamente patinata, spesso arretra per re-inquadrare, sospinto dal desiderio di ‘accarezzare’, per poi trovare la strada che lo conduce al rapporto di continuità espositiva affascinato dall’infinito. Ho sempre pensato che Armanda Verdirame si offre e si dedica alla ‘terra’ – forse – con il desiderio di fornirle la possibilità di auto-esprimersi, di manifestare a lei stessa e quindi a noi attraverso le sue opere dopo la cottura, il segreto che in essa si cela; solo il connubio perfetto tra l’esperienza e la sensibilità, tra ‘affondo’ tattile nella materia ed ‘estrazione’ da essa del ‘messaggio’, si manifesta pienamente con variabili imprevedibili, la trascrizione di quel racconto che appartiene alle ‘origini’ del Pianeta. La scultura risponde alla ‘parola’ del rotolo, si sviluppa ruotando su se stessa, pronta ad ospitato la scrittura’cuneiforme’, per poi disporsi alla decifrazione dello sguardo; la verticalità impressa alla stratificazione orizzontale della terra, manifesta la volontà ‘estrattiva’ del raccontare,a cui fa seguito l’incontro tra le origini, mai statiche, della materia con la storia della civiltà umana e con la sua irrefrenabile evoluzione: sono Colonne che reggono, si iscrivono e si impongono nel tempo, avvolte da un bellico-frastornato silenzio. Prof. Pasquale Lettieri Critico d’arte
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