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sabato, 20 Aprile, 2024

MANUELE PRESENTI, DA GROSSETO AL MONDO PER AMORE DEL GELATO

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di Gabriele Rizza

Manuele Presenti, grossetano d’origine ma giramondo per professione, fin dall’infanzia è cresciuto con l’arte del gelato, passione ereditata dalla sua famiglia. Già titolare della gelateria grossetana Chiccheria, nel 2008 fonda la “Scuola Gelato Naturale”, attività che gli ha permesso di affinare e divulgare l’arte del gelato, formando molti gelatai in Italia e nel mondo. Noi de La Critica lo abbiamo incontrato per una chiacchierata sulla sua storia e su tutto quello che ruota attorno a questo prodotto emblema del made in Italy.

Dal 2008, insegna l’arte del gelato anche a chi si approccia per la prima volta al mestiere. Qual è lo spirito della sua scuola?

«Fare il gelato può sembrare semplice dall’esterno, ma è un connubio d’esperienza e di scienza. Con il metodo di bilanciamento, ossia creare una ricetta partendo dalle materie prime, ho spiegato in modo semplice e in tre passaggi come si crea una ricetta. Chi si avvicina a noi, riesce autonomamente e in libertà a creare la propria ricetta, senza ricorrere ad alcun tipo di preparato».

Tanti prodotti tipici italiani sono tutelati fuori dai nostri confini, ma esiste qualcosa di simile anche per il gelato in grado di tutelarne la qualità e il metodo?

«No, non c’è neanche nei confini italiani. La denominazione artigianale non è soggetta a nessun tipo di restrizione o vincolo, se ne parla da tanto ma non se ne viene mai a capo. Risulta difficile perché tante cose vanno regolamentate, certificate e seguite. Chi fa questo mestiere, per amore e passione, dovrebbe tutelare la qualità e innalzarla. La tutela della qualità del gelato, in Italia e all’estero, dovrebbe partire prima da chi intraprende questo mestiere».

Il consumatore che entra in una gelateria ha a disposizione degli elementi per valutarne la naturalezza e l’artigianalità aldilà dell’esperienza sensoriale?

«Il discorso sensoriale è soggettivo, per il resto dovrebbe essere esposto per legge il cartello unico degli ingredienti che dovrebbe contenere pochi ingredienti, una decina al massimo. I codici europei che identificano gli stabilizzanti e gli emulsionanti dovrebbero essere due o tre, al massimo. Non c’è altro modo per valutare una gelateria sulla carta. Molti non lo espongono e lo tengono sottobanco, dovrebbe essere il consumatore a chiederlo ma non lo fa mai. Esporlo dovrebbe essere un orgoglio se si lavora bene».

Ha girato molto il mondo per il gelato, è soddisfatto delle sue esperienze? Ci sono delle aree del mondo dove il gelato ancora deve essere apprezzato o, al contrario, dove lo è molto?

«All’estero ho seguito tante aperture: dall’Australia agli Stati Uniti, Singapore e Costa Rica. Svolgiamo anche corsi in inglese e abbiamo tanti allievi stranieri che vengono in Italia per imparare il mestiere ed esportare la nostra cultura nel mondo. Insegniamo una metodologia di lavorazione delle materie prime, così tutti possono lavorare le materie prime locali che hanno a disposizione e i risultati sono ottimi. Fino a qualche anno fa, nel centro e nel sud America, non andavano matti per il gelato, ora pian piano si sta diffondendo. Quando ho seguito alcune aperture in quei paesi, molti clienti pensavano che le vaschette di gelato fossero delle torte. Dieci anni fa una gelateria si poteva trovare solo in una città con cinque milioni di abitanti, proprio perché non c’era richiesta. Invece, ad esempio in Australia, Svezia o Stati Uniti c’è un consumo pro capite di gelato altissimo».

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