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martedì, 16 Aprile, 2024

Il Rendiconto di Alan Patarga. PIÙ CHE DEL CATASTO DI DOMANI, PREOCCUPIAMOCI DELLA CARTA IGIENICA DI OGGI

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Se Silvio Berlusconi, uno che le tasse sulla casa le ha abolite non una ma addirittura due volte (nel 2008, cancellando l’Ici sull’abitazione principale e di nuovo nel 2013, ottenendo dal governo Letta – inizialmente sostenuto anche dal Pdl – l’abolizione dell’Imu sulla prima casa) dice oggi a Mario Draghi di aver “condiviso il percorso avviato sulla delega per la riforma fiscale”, c’è da credere sulla parola alla promessa del premier in carica: “Non ci sarà nessuna patrimoniale”.
La revisione del catasto, necessaria in un Paese come il nostro abituato a trasformare terrazzini in camere da letto e a costruire buttando l’occhio al condono prossimo venturo, non sarà effettiva prima del 2026 e solo sulla carta potrebbe essere utilizzata per un riequilibrio del carico fiscale sul mattone. Nel frattempo potrebbero essere già cambiati cinque o sei presidenti del Consiglio e un numero imprecisato di segretari del Pd.
Il problema immediato che non vediamo, probabilmente ancora per poco, è invece quello della carta igienica. La crisi delle materie prime – i microchip e molto altro altro – sta infatti scatenando un collasso dell’offerta commerciale a livello globale. Continuiamo a vedere gli scaffali pieni nei supermercati, ma è probabile che ciò sia possibile solo a costo di assottigliare le scorte di magazzino di ogni tipo di merce.
In Italia, e un po’ in tutto il mondo, le fabbriche si stanno fermando. Quello messo peggio – da mesi ormai – è il settore dell’auto. Ieri l’annuncio della cancellazione del Salone di Ginevra, che non si terrà nel 2022 (per la terza edizione consecutiva: le altre due erano saltate a causa dei lockdown) perché i costruttori non saprebbero esattamente come riempire gli stand. Le auto non vengono sfornate, o escono dalle catene di montaggio con il contagocce e senza alcuni pezzi. Per un modello su ordinazione, di qualsiasi marca, i tempi di consegna sono ormai più che raddoppiati (chi doveva attendere 3 o 4 mesi per avere il suo veicolo oggi può sentirsi dire “ci vediamo tra un anno”) e alcune case automobilistiche stanno rilasciando ai clienti vetture con un bel buco in mezzo al cruscotto: il computer di bordo, caro signore, lo monteremo più in là.
In Italia Stellantis ha annunciato il fermo delle officine meccaniche di Mirafiori, che di fatto era l’unico stabilimento del gruppo nato dalle ceneri della Fiat a lavorare a pieno ritmo. Da Melfi a Cassino, invece, già da tempo è uno stillicidio di cassa integrazione, perché i dati appena comunicati dicono che la produzione è calata del 16% nel 2021 (rispetto al periodo pre-Covid) nonostante ci fossero tutti i motivi per ripartire col botto. Peccato manchino i pezzi per assemblare auto e furgoni: perfino per i veicoli commerciali si registra una flessione, mentre la ripresa ha messo il turbo, non accadeva da 12 anni. Tanto da far dire ai vertici del gruppo, appena ieri, che “la crisi dei chip sta pesando più della pandemia” sui conti dell’azienda e del settore in generale.
I numeri dell’auto sono emblematici (-32,7% le immatricolazioni a settembre, in Italia, meno 210 miliardi di dollari di ricavi nel 2021, a livello globale), ma tutto sommato sono la punta dell’iceberg. I microchip introvabili – perché le attività estrattive dei semiconduttori che servono a realizzarli sono partite tardi e a scartamento ridotto – stanno rallentando la produzione di smartphone (meno 50 milioni di pezzi rispetto allo standard previsto), ma anche di elettrodomestici. Le catene produttive stanno rallentando, con effetti pesanti sulle consegne in negozio di lavatrici, forni, frigoriferi. L’offerta si riduce, i prezzi inevitabilmente salgono. Ad agosto il gruppo Electrolux, dopo aver ritoccato i listini al rialzo, ha anche comunicato l’avvio di 13 settimane di cassa integrazione per carenza di schede elettroniche e acciaio, ingredienti essenziali per assemblare qualunque apparecchio dell’industria del bianco.
Si fermano i cantieri edili, che pure potrebbero correre grazie all’incentivo del Superbonus al 110%, perché scarseggiano i ponteggi (ne servirebbero di più, ma nessuno ne produce altri) per non parlare dei materiali che servono a realizzare i “cappotti” per gli edifici, letteralmente introvabili perché gli interventi di isolamento termico sono proprio quelli trainanti per ottenere lo sgravio fiscale.
Negli Stati Uniti, che spesso precorrono e intravedono per primi le crisi globali, a mancare sono perfino i pannolini. L’allarme è di pochi giorni fa: il 33% delle famiglie non riesce più a procurarsene, e c’è il rischio che per cambiare i bebè si torni al sistema delle fasce. Per la gioia, forse, solo di qualche ultras del riciclo. Problema analogo per gli adulti: l’industria cartaria è sostanzialmente allineata alle altre quanto a difficoltà. Poca materia prima, prezzi più elevati, tempi di consegna rallentati. Le cellulose per produrre carta e cartone, nel 2021, sono rincarate del 60-70%, mettendo in crisi l’attività tipografica e non solo. Il comparto “tissue”, quello cioè dei prodotti in carta dedicati all’igiene personale, è in prima linea. Carta igienica, tovaglioli, fazzoletti, lenzuolini medici: la domanda è alta come non mai, ma la produzione – tra rincari dell’energia e scarsità di materia prima – sta segnando il passo. L’Italia è il primo player di settore in Europa, con una quota del 20,4% del mercato e circa 19 mila addetti. Dietro c’è la Germania. Ma i dati dicono che nonostante il picco di domanda le fabbriche stanno producendo quasi il 10% in meno. E anche in questo caso, l’America sembra anticipare quello che entro Ntale potrebbe avvenire a casa nostra. Pochi giorni fa, il colosso della grande distribuzione Costco ha messo in guardia i clienti: solo il 60% della carta igienica che aspettavamo ci è stata consegnata, potreste cominciare a non trovarne sugli scaffali. E così al 2020, l’anno in cui il mondo andò a rotoli a causa del Covid-19, potrebbe far seguito il 2021: l’anno in cui finimmo perfino i rotoli.

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