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venerdì, 19 Aprile, 2024

Il Rendiconto di Alan Patarga – IN EUROPA SONO TUTTI UGUALI, MA LA GERMANIA E’ PIU’ UGUALE DEGLI ALTRI

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Giorgia Meloni è appena rientrata dal suo primo viaggio a Bruxelles. I resoconti parlano di una compiuta, seppure a metà. Da parte di Roberta Metsola, Ursula von der Leyen e Charles Michel c’è “apprezzamento” per l’apertura del nuovo governo italiano alla collaborazione con le istituzioni di Bruxelles, ma – racconta chi c’era – su molti dossier “restano distanze” ancora da colmare. Servirà tempo per trovare un linguaggio comune, per esempio sulle eventuali modifiche da apportare al Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), perché la crisi energetica e dei prezzi impongono un ripensamento di costi e obiettivi; servirà tempo per convincere i partner europei (leggi: Germania, Austria e Olanda) a stabilire un prezzo al tetto del gas che metta al riparo l’Europa – e quindi anche noi – dalla speculazione sulle quotazioni del metano innescata dall’invasione russa dell’Ucraina e amplificata da un meccanismo di trading, quello della piattaforma Ttf di Amsterdam, a dir poco opaco.

BERLINO SI FA IL TETTO

Servirà tempo, insomma, all’Italia. Ma in quest’Europa nella quale tutti sulla carta sono uguali, c’è qualcuno “più uguale degli altri”: ed è, come sempre, la Germania. Accade infatti che mentre Berlino si opponeva alla definizione di “price cap” a livello europeo, che comporterebbe una presa in carico anche finanziaria da parte di tutti i Paesi membri dell’Ue, nello stesso momento il governo del cancelliere Olaf Scholz non ha perso l’occasione per risolvere da sé i suoi problemi. Qualche settimana fa ha destato scalpore, e qualche vibrata protesta, la decisione di varare un pacchetto da 200 miliardi di euro per mettere al riparo dagli effetti del caro bollette le imprese (soprattutto) e le famiglie tedesche. In questi giorni è diventato chiaro cosa significasse: dal primo gennaio, infatti, la Germania avrà il suo tetto al prezzo del gas. La Repubblica federale, con il suo florido bilancio, si accollerà parte degli extra costi scaturiti dall’impennata delle tariffe energetiche, fissando a 7 centesimi al KWh il limite di prezzo per il metano utilizzato dalle grandi e medio-grandi industrie tedesche; dal primo marzo, toccherà alle famiglie e alle piccole e medie imprese, che pagheranno un massimo di 9,5 centesimi al KWh per il gas e 12 centesimi al KWh per la corrente elettrica.

E NOI RESTIAMO AL PALO

Cosa aggiungere? Realisticamente, il primo gennaio l’Unione europea non avrà un tetto comune al prezzo del metano, proprio per l’opposizione della Germania. Quella stessa Germania che avrà concesso nello stesso frangente un innegabile vantaggio competitivo alla propria industria pesante, tentando di allargare il divario tra la sua manifattura, prima in Europa, e la seconda: quella italiana. Per Roma, a quel punto, resteranno due opzioni, entrambe complicate: restare in balìa della speculazione e sperare che non affondi gli artigli come ha già fatto la scorsa estate, oppure provvedere a sua volta a fissare un tetto al prezzo del gas, che significa ripianare a carico della fiscalità generale la differenza tra quotazione di mercato e tariffa praticata all’utenza. Dispendioso in ogni caso, proibitivo per chi ha un bilancio pubblico gravato da quasi 2.800 miliardi di debiti. A leggere i dati comunicati qualche giorno fa da Confcommercio, d’altro canto, si capisce che non da oggi l’Unione europea marcia in ordine sparso sulla partita energetica: se è vero, come è vero, che le imprese italiane del terziario (negozi, ristoranti, bar, alberghi) pagano mediamente il 69% in più l’elettricità rispetto alle concorrenti francesi – avvantaggiate dal nucleare – e il 27% in più di quelle della Spagna, dove il tetto al prezzo del gas c’è già da mesi.

di Alan Patarga

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