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sabato, 20 Aprile, 2024

Albero di Natale vero o finto? La differenza è l’enorme impatto ambientale, 37 volte in più per quello sintetico

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di Martina Grandori

Albero sintetico o albero vero? Il dilemma, soprattutto per i tradizionalisti, i cultori del Natale vecchio stampo, ma anche per chi cerca di vivere in maniera green, si ripropone ogni anno. L’8 dicembre, è il giorno in cui canonicamente si fa l’albero di Natale, un appuntamento anche in tempi di Covid a cui molti italiani non rinunciano. A Milano appena inaugurato il più famoso d’Italia, quello in Piazza Duomo,  alto 24 metri,  praticamente a chilometro zero (arriva dalla provincia di Varese) e una volta finite le festività, verrà riutilizzato a beneficio della comunità cittadina. Secondo l’ultimo rapporto dell’Ispra, è meglio ancora acquistarne uno vero tenendolo al meglio e dandogli le cure necessarie, importante poi che provenga da boschi gestiti in maniera sostenibile. Quello artificiale, sempre perfettamente verde, con i rami folti disegnati alla perfezione, ha un impatto ambientale insostenibile. Un albero finto di 2 metri ha un’impronta di carbonio pari a circa 40 kg di emissioni di CO2 equivalenti, senza contare che gli alberi finti impiegano oltre 200 anni prima di degradarsi nell’ambiente. A promuovere la scelta del “vero” è anche PEFC Italia, un’associazione senza fini di lucro nata nel 2021 che costituisce l’organo di governo nazionale del sistema di certificazione Programme for Endorsement of Forest Certification schemes. Un ente giovanissimo a cui aderiscono in molti, dai proprietari forestali, ai consumatori finali, includedo anche il mondo dell’industria del legno, il tutto all’insegna della sostenibilità. Già, perché un abete vero, seppur reciso, assorbe anidride carbonica e rilascia ossigeno e olii essenziali che purificano l’ambiente casalingo e, una volta terminato il suo ciclo vitale, non inquina ritornando ad essere sostanza organica in nome della circolarità. Una circolarità anche sociale, infatti comprare alberi che provengono da una filiera sostenibile e certificata aiuta gli abitanti delle comunità montane a trovare lavoro, aiuta a contrastare l’incessante fenomeno dell’abbandono delle piccole località alpine che così facendo si ritrovano a far parte di una filiera. E poi le coltivazioni di alberi contribuiscono a migliorare l’assetto idrogeologico delle colline, a combattere l’erosione e gli incendi. Di più, grazie agli alberi di Natale è possibile coltivare in molte aree di montagna: con il terreno lavorato, morbido e capace di assorbire la pioggia in profondità prima di respingerla verso valle, evitando i pericoli delle frane, mentre la pulizia dai rovi diminuisce il pericolo d’incendi.

Purtroppo però secondo l’indagine ultima di Coldiretti/Ixe’, a causa della situazione economica, quasi 6 italiani su dieci (il 59 %) recuperano dalla cantina il vecchio albero sintetico. Chi invece opta per uno con le radici, vede misure rimpicciolite anche per una questione di facilità di trasporto e spazi domestici sempre più ristretti. I mercati della Fondazione Campagna Amica sono sparsi in tutta Italia e costituiscono un valido indice per cogliere come una fetta di italiani sia però ancora affezionata alla tradizione: 32 euro la cifra media spesa per alberi che non superano il metro e mezzo. 

L’altro aspetto importante di questa indagine la provenienza: la maggioranza arriva da coltivazioni italiane, certificate con un bollino di qualità e sostenibilità, evitando così trasporti da lontano con emissioni di gas, traffico e molto altro.

Tornando a quelli sintetici, Coldiretti denuncia che molto spesso arrivano dalla Cina che li produce con modalità obsolete, e non solo consumano petrolio e liberano gas ad effetto serra per la loro realizzazione e il trasporto, ma impiegano oltre 200 anni prima di degradarsi nell’ambiente. Secondo The Carbon Trust un albero sintetico deve essere impiegato per almeno 10 anni per avere un impatto ecologico uguale o inferiore a uno vero. Meglio comunque in caso conservarlo per tutta la vita e avere la coscienza pulita.

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