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venerdì, 29 Marzo, 2024

Abusi sessuali in cella. Le falle del sistema penitenziario italiano

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di Daniela Buonocore

Lettera da incubo quella scritta da Michele ( nome di fantasia), trentunenne detenuto nel carcere di Santa Maria Capua Vetere di Caserta. Angoscia e dolore, è quello che emerge dalle parole del carcerato che attraverso una lettera, ha raccontato le violenze e le minacce subite in cella. “Mi hanno messo un coltello alla gola, mi hanno costretto a fare sesso orale e mi hanno penetrato, io voglio ancora amare, ma ad oggi solo il pensiero di andare a letto con qualcuno mi fa vomitare”. Parole agghiaccianti quelle che si leggono nella lettera che Michele ha scritto lo scorso 4 agosto. Il detenuto racconta che tutti i giorni è costretto a pulire il bagno almeno due volte durante la giornata e a cucinare come uno schiavo, inoltre il giovane viene costantemente minacciato, deriso e insultato dagli altri detenuti, che sono arrivati perfino ad abusare di lui. Al di là di un’assoluta assenza di controllo all’interno dei penitenziari, ciò che più preoccupa è il trattamento ricevuto anche dal direttore e dal comandante del penitenziario. L’uomo infatti denuncia di aver richiesto più volte di poter parlare con uno di due, ma nessuno si è fatto vivo o ha chiesto spiegazioni in merito all’accaduto. Michele racconta di aver tentato più volte il suicidio perché, da quando ha subito questo gesto, si sente svuotato e non ha più voglia di vivere, ma nessuno si è offerto di dargli un supporto morale, anzi il detenuto; “Mi hanno detto che se voglio impiccarmi per loro è uguale perché chi piange è solo la mia famiglia”. Questa, a dire di Michele, pare sia stata l’unica risposta data al detenuto. Parole queste, che dovrebbero essere prese in considerazione dalle istituzioni dello Stato, così che venga data visibilità a ciò che succede dietro le sbarre. Nel caso di Michele, a quanto pare, non è stato neanche applicato il protocollo clinico previsto per gli abusi sessuali, tantomeno è stato portato al pronto soccorso. Da quanto racconta Michele, l’unico aiuto offerto dal carcere è stato un breve colloquio con la psicologa penitenziaria della durata di 30 secondi e succesivi incontri settimanali. “Mi stanno riempiendo di gocce e di psicofarmaci, vogliono tenermi buono e farmi impazzire, ma io resterò lucido , meglio morto che zombie”, continua Michele. Se tutto ciò dovesse essere confermato dalle autorità competenti, in questo caso ci troveremo dinnanzi ad caso di vera e propria tortura, caratterizzata non solo dall’abuso sessuale da parte dei detenuti, ma anche da comportamenti disumani e degradanti da parte delle istituzioni.
Una piccola anomalia, che ad oggi resta ancora con un punto interrogativo è legata al magico trasferimento che oggi ha ottenuto il detenuto, dopo che l’istanza era stata inspiegabilmente respinta. Il caso pertanto è stato segnalato ad Emanuela Belcuore, garante per i diritti dei detenuti della provincia di Caserta. Michele racconta di essere cosciente di aver commesso errori, sa di aver sbagliato e di dover scontare la sua pena, ma sostiene anche di non sentirsi a suo agio nel carcere a queste condizioni. “Mi manca la mia famiglia vorrei la dignità che mi hanno tolto.” Non è stato facile per Michele decidere di rendere pubblico tutto ciò che ha subito all’interno del carcere, anche perché nel rivelare questa tipologia di trauma, è stato etichettato come “un infame” dagli altri detenuti. La famiglia spera ora che all’interno della nuova struttura nella quale è stato trasferito, possa finalmente vivere con dignità. Al momento In Italia si contano già 55 suicidi avvenuti in carcere dall’inizio di quest’anno e, con il caso di Michele, in Campania sarebbe stato il settimo. Un’altra follia, stavolta dello Stato italiano, che farebbe impallidire qualsiasi democrazia, ma non quella della nostra Penisola, dove le istituzioni continuano a marciare sopra la Costituzione e lo Stato di diritto, tanto che in molti denunciano la totale assenza anche da parte dei partiti, nel corso di una campagna elettorale che dovrebbe occuparsi anche di tutelare e a correggere il sistema penitenziario.

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