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martedì, 16 Aprile, 2024

A DESTRA È ANCORA PRESTO PER LA DIETA: LA VOGLIA DI PANETTONE, IL GUSTO DEL MARITOZZO E LA TENTAZIONE DEL GIANDUIOTTO

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di Mario Alberto Marchi

C’è più di qualche fibrillazione nel centrodestra. Anche lo stratega della Lega, Giorgetti, l’ha ammesso chiaramente: la spallata al Governo non è riuscita e anzi, la tornata di elezioni regionali e comunali ha evidenziato qualche debolezza.

Ulteriore prova è la capriola di Salvini, sul concetto di “rivoluzione liberale”, con un atterraggio poco morbido, partendo da posizioni protezionistiche, ma evidentemente urgente. Il progetto è affrancarsi in fretta da un impegno sul Meridione, per poter riprendere in modo ben definito la fisionomia di partito del Nord.

I tempi sono strettissimi, perchè l’appuntamento critico è quello con le comunali della prossima primavera, soprattutto a Milano.

La Lega è destinata ad esserne protagonista per conto del centrodestra, in assenza di un contributo solido da parte di una Forza Italia, in crisi di identità sempre più profonda; ma se conquistare Milano, anche per un soffio, sarebbe l’assegnazione definitiva e senza più alcun dubbio al ruolo di guida, perderla malamente sarebbe un problema.

Le altre componenti, del resto, potrebbero avere la tentazione di lasciare libero il palco apposta: in caso di sconfitta, Forza Italia potrebbe tornare ad ambire a dettare la linea, con una delega chiara a Fratelli d’Italia sull’elettorato più a destra.

L’impegno per la lega è coraggioso e duplice: sul fronte dell’immagine e su quello delle scelte specifiche. Sul primo – come abbiamo accennato – Salvini sta lavorando; torna prepotente il tema dell’immigrazione che unisce sud e nord, ma poi si passa direttamente al messaggio “liberale”, che seduce l’imprenditoria settentrionale, assetata di mercato e libertà di azione. Sul secondo, si lavora sottotraccia: per Milano serve un candidato più civico che politico, magari con un profilo che confonda le carte in tavola. Non un imprenditore, ma qualcuno con buoni rapporti con i corpi intermedi e magari capace di muoversi agilmente con un’informazione non favorevolissima. Dovrà pero mantenere quel minimo di profilo attivista che non lo renda troppo “borghese”.

Insomma, in giacca e non in felpa, ma senza cravatta.

In caso di successo, le altre due componenti del centrodestra hanno bisogno di assicurarsi un risarcimento. Per Fratelli d’Italia, l’obiettivo naturale è la scelta del candidato Sindaco di Roma. Un bel grattacapo, che però ristabilisce ruoli e pertinenze, soprattutto geografiche, senza il bisogno d’insistere troppo sulla polemica di un’espansione leghista verso sud che non ha dato i risultati sperati.

Per ottenere questo risultato – oltretutto – non sarebbe nemmeno necessario vincere le elezioni: già esprimere un buon candidato e ottenere un risultato onorevole sarebbe sufficiente. Anche se la vittoria è tutt’altro che esclusa, a fronte di un centrosinistra disorientato come non mai, tra l’autocandidatura di Calenda e la possibile ricandidatura della Raggi.

Resta in tutto questo da immaginare il posizionamento di Forza Italia; qua abbiamo più di qualche problema. Un pezzo di partito esprime ormai apertamente le proprie distanze dalla Lega, suggerendo un profilo da partito nettamente europeista e sempre più centrista. In questa condizione, s’inseriscono poi tensioni che fanno capo a singoli esponenti che nella crisi intravedono la possibilità di allargare il proprio spazio personale, come Giovanni Toti o Mara Carfagna. Dialogano, spingono, scappano in avanti per poi tornare indietro, sembrano veri dissidenti, per poi ridivenire organici. Il problema è che tutta questa confusione dovrà trovare un’ambizione comune: quale, visto che le caselle di Milano e Roma sarebbero già occupate?

Un colpo di reni e di fantasia potrebbe essere quello di puntare a Torino, che rimane pur sempre il simbolo dell’Italia industriale e una città che si è dimostrata capace di “rinascite dolci”, oltre che piazza culturalmente praticabile per un liberismo moderato e sobrio.

Accetterebbe il Cavaliere di spostare l’ambizione di influenza della “sua” Milano e dalla Capitale? Una seconda via ci sarebbe: continuare fare l’ago della bilancia, ma con il rischio di condannarsi ad un ruolo comprimario sempre più opaco.

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