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venerdì, 29 Marzo, 2024

QUANDO IL CAMPANILE POLITICANTE MORTIFICA UN’INTERA TERRA: IL CASO CALABRESE

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di Gabriele Rizza

Il campanilismo, prima che costume politico, è un sentire prepolitico con radici secolari. Le rivalità calcistiche non sono altro che un ramo evolutivo di questo sentire comune, storicamente comprensibile più nel nord Italia che nel sud, a causa del forte potere politico e culturale che esercitavano i comuni del nord durante il medioevo. Finché il campanilismo resta nella sfera esistenziale-goliardica, non può essere considerato un male da estirpare: uno studente vorrà sempre sentirsi più bravo dei suoi compagni di classe più che dei ragazzi dell’altra classe, lo stesso vale per le città di una stessa Regione.

C’è però un confine sottile tra il nazionalpopolare e il comune destino di una società, che sta tutto nell’agire e nel sentimento politico; ultimo esempio di questo confine scavalcato, è il caso Catanzaro – Reggio Calabria. Esattamente cinquant’anni fa, il capoluogo della Regione Calabria veniva spostato da Reggio a Catanzaro, mantenendo però la sede del consiglio regionale nella città punta dello stivale. I politici catanzaresi hanno voluto commemorare l’evento con una targa, mentre i reggini hanno ricordato lo scippo che, a detta loro, hanno subito e che nel 1970 ha dato vita agli incendiari Moti di Reggio.

In questi giorni, i politici catanzaresi e reggini si sono battuti a colpi di storia e filosofia per dimostrare quale delle due città vantasse un passato più glorioso, gesta eroiche e meriti per candidarsi a città più importante della regione. Hanno usato (male) la stessa passione emotiva e storica che a molti calabresi piacerebbe avvertire durante le campagne elettorali, quando invece nelle assonnanti cene elettorali si menzionano gli amici degli amici, partecipate e posti di potere da spartire. Non c’è da meravigliarsi: le parole di elogio della propria città restano vuote e becere quando sono pronunciate da chi da decenni mortifica ogni giorno la propria città, Reggio o Catanzaro che sia, con una politica svuotata di ogni suo significato edificante, usandola invece come semplice caccia al voto, o peggio, “pacchetti di voti” e spacciando un diritto come un favore da restituire alle urne, come succede agli sportelli comunali, per una visita medica o una delega al parroco.

Le tragedie a volte hanno un risvolto comico, perché spesso chi è ignorante crede di essere intelligente, scaltro e migliore di tutti, e così questi spenti amministratori mostrano scatti di orgoglio cittadino; proprio come accade quando bisogna scegliere il candidato a Presidente della Regione del proprio schieramento: “a questo giro tocca a Cosenza, no a Catanzaro, e Crotone?”, non pensando al fatto che il Presidente ideale è colui che, con un’idea di comunità da portare avanti, farà il bene della Calabria e di conseguenza di ogni suo comune; non è però un ragionamento che possono permettersi di fare, anche se lo volessero. Infatti, la loro stessa caccia ai pacchetti di voti, li porta a dover garantire a chi li sostiene determinate posizioni nelle loro città, e così il loro orgoglio cittadino non ha nulla di identitario ma ha tutto di opportunismo. Di più, resta di un campanilismo sconcertante l’idea che un Presidente possa favorire una città piuttosto che un’altra.

Mentre le campane suonano ogni giorno puntuali, i calabresi si rendono conto che sono più i mali in comune che i singoli vanti da esibire. Se si smettesse di farle suonare, il silenzio farebbe cogliere la bellezza innata della Calabria e magari, dalla rabbia per i torti subiti da certi politicanti, si leverebbero voci che parlano davvero di politica, quella fatta di programmazione, abnegazione e un tocco di cultura.

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