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martedì, 19 Marzo, 2024

La disobbedienza civile e l'apologia per John Brown

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Nell’America del XIX secolo un pensatore originale e dalle idee chiare gettava le basi di un metodo di lotta che avrebbero usato molti rivoluzionari non-violenti: la disobbedienza civile. A elaborarne il concetto fu Henry David Thoreau (1817 – 1862), il quale in una conferenza, poi trascritta, sostenne che disobbedire a una legge ingiusta è non solo lecito, ma doveroso. Per l’autore l’uomo giusto deve disobbedire in modo palese e non-violento a ciò che ritiene un’ingiustizia e deve essere pronto a subirne le conseguenze.

Henry David Thoreau.

L’autore non ha molta fiducia nelle istituzioni governative. Per lui il miglior governo è quello che governa meno, lasciando libere le persone di esprimersi e di agire. Cosa che non si poteva dire per il governo schiavista dell’America del suo tempo. Per questo Thoreau giunge a dire che:

Sotto un governo che imprigiona ingiustamente non importa chi, il vero posto dove può vivere un uomo giusto è la prigione;1

E il carcere per lui è:

la sola casa in uno Stato schiavista dove un uomo può vivere con onore.2

E non si pensi che Thoreau fosse solamente un teorico. Il filosofo americano applicò queste idee rifiutandosi di pagare una tassa per finanziare la guerra. Per tale rifiuto fu imprigionato, ma poté godere dell’”ospitalità” delle prigioni statunitensi per una sola notte. Qualcuno, infatti, pagò il debito con lo stato, con suo grande disappunto.

Interessante è la visione dell’agire sociale che si intuisce dalle pagine del trattato. Thoreau sottolinea il ruolo dell’individuo all’interno della società e la responsabilità che questo ruolo implica. Ognuno deve, a parer suo, comportarsi in modo da non danneggiare l’altro. Non è accettabile quella sorta di fatalismo che porta molte persone a non interessarsi dei danni provocati dalle loro azioni (pensiamo all’appoggio che diamo alla schiavitù dei lavoratori del Terzo Mondo comprando certi prodotti). È necessario che ognuno si assuma le proprie responsabilità, perché se non possiamo pretendere da tutti un’attiva azione politica contro le ingiustizie, possiamo almeno pretendere che tali ingiustizie non siano appoggiate e rafforzate:

Naturalmente, un uomo non ha il dovere di consacrarsi a raddrizzar torti, fossero anche i più grandi; può avere l’assillo di altri problemi. In tal

La copertina del libro.

caso è suo dovere almeno di lavarsi le mani di tutto ciò e, se non ci pensa più, negare il proprio appoggio a ciò che è ingiusto. Se mi consacrassi ad altri scopi e ad altre meditazioni dovrei almeno preoccuparmi, come prima cosa, di non perseguirli stando seduto sulle spalle d’un mio simile;3

Un messaggio senza dubbio attuale. Meno attuale è, a parer mio, l’individualismo che attraversa il discorso. Thoreau parla da “uomo dei boschi”, da persona cioè che ama la solitudine e che mantiene una certa distanza dalla civiltà. E come tale ha un’idea dell’individuo libero come persona responsabile e morale, che agisce in modo retto. Un’idea che poteva avere senso nell’America di quell’epoca, ma che oggi presenta la sua fallacia nel dominio delle grandi aziende sulla politica e sulla società. La libertà individuale, nell’accumulo di capitale e nella prevaricazione del ricco sul povero, ha dimostrato la necessità di leggi e di istituzioni che garantiscano i diritti umani basilari, per evitare che si realizzi il detto hobbesiano “homo homini lupus”. Senza considerare che la scelta di vivere da “uomo dei boschi” (scelta che molti fanno anche ai nostri tempi) rende, oggi, la persona impotente nei confronti della società, cosa che all’epoca non accadeva.

La disobbedienza civile resta comunque un valido metodo di lotta non-violenta, usata anche da politici moderni. Ricordiamo il 12 ottobre 1997, giorno in cui Marco Pannella e altri esponenti radicali regalarono hashish in piazza Navona, a Roma. O i recenti viaggi di Marco Cappato in Svizzera per accompagnare delle persone a usufruire del suicidio assistito, viaggi seguiti dall’auto-denuncia dell’attivista radicale. Perché la disobbedienza civile deve essere pubblica, palese. Thoreau dichiarò ufficialmente all’esattore che gli chiedeva il pagamento della tassa, da lui ritenuta ingiusta, la sua intenzione, e non fece resistenza quando lo arrestarono. E questo è un punto di grande importanza. Come il fatto che la disobbedienza deve essere giustificata da ragioni etiche e ideali e non da bassi interessi egoistici. In tal senso non va confusa (come, ahimè, certi personaggi fanno) la disobbedienza civile con la banale evasione fiscale o con altri reati. Rifiutarsi di pagare una tassa moralmente ingiusta in modo palese e pagandone le conseguenze è disobbedienza civile. Evadere le tasse, magari mettendo i soldi in qualche paradiso fiscale, sperando di non essere beccati è semplice e squallida evasione fiscale.

Il capitano John Brown.

Ancor più interessante del trattato sulla disobbedienza civile è l’”Apologia per John Brown”, compresa nell’edizione BUR. John Brown (1800 – 1859), conosciuto in Italia forse più per la canzone a lui dedicata che per le sue gesta, fu un combattente antischiavista. Tra il 1856 e il 1859, insieme a un manipolo di uomini, Brown combatté una sua battaglia personale contro la schiavitù. Contrario all’atteggiamento “moderato” degli stati del Nord che ritenevano di dover combattere la schiavitù con mezzi esclusivamente politici e ideologici, Brown portò a termine diversi attacchi armati contro gli schiavisti. Le sue azioni ebbero termine il 16 ottobre 1859 con l’attacco all’arsenale di Harper’s Ferry, in Virginia. L’attacco andò male e Brown fu catturato. Giudicato colpevole di cospirazione, omicidio e insurrezione armata, fu condannato a morte e impiccato il 2 novembre dello stesso anno.

Thoreau scrisse un discorso in difesa di Brown che ripeté più volte in pubblico. Per l’autore il guerrigliero antischiavista era un eroe, un modello di uomo raro e superiore. Di lui condivideva i valori e le credenze religiose, di matrice puritana, che lo portavano a rifiutare il compromesso e l’apatia davanti alle ingiustizie:

Apparteneva a quella categoria di persone delle quali udiamo tanto parlare ma che – per la maggior parte – non vediamo mai: i Puritani. Sarebbe vano ucciderlo, era morto recentemente, all’epoca di Cromwell, ed è riapparso qui. E perché no? Si dice che alcuni Puritani siano venuti in questo Paese dall’Europa e che si siano stabiliti nel New England. Era gente che faceva qualcos’altro oltre che celebrare i giorni dei loro padri, e mangiavano grano bruciato in ricordo di quell’epoca. Non erano né Democratici né Repubblicani ma uomini di semplici costumi, onesti, religiosi; non avevano molta stima per quei governanti che non temessero Dio; non facevano molti compromessi né andavano in cerca di candidati liberi.4

Un uomo non educato nei salotti della gente “per bene”, ma forgiato dalla vita dura e dalle difficoltà, non colto, ma saggio:

Non andò a Harvard – quella buona e vecchia Alma Mater; non fu nutrito con la pappa che vi si somministra. Confessò lui stesso: «Non so più grammatica d’uno dei vostri vitelli». Ma andò alla grande università dell’Ovest, dove assiduamente perseguì lo studio di una materia per la quale aveva mostrato una spiccata inclinazione, lo studio della libertà, e laureatosi diverse volte in quella disciplina cominciò, finalmente, nel Kansas, come tutti sanno, la pubblica professione di umanità.5

Un uomo duro, dunque, dai forti ideali e dai saldi valori. Un uomo religioso (non permetteva che si bestemmiasse) che riteneva suo dovere combattere per la giustizia con la più totale abnegazione. Un uomo disposto a sacrificare tutto, compresa la vita, per la causa della libertà, convinto che fosse nulla più che il compimento del suo dovere:

E parlando del suo movimento: «Nella mia opinione, è il più grande servizio che un uomo possa rendere a Dio.

«Ho pietà dei poveri in schiavitù che non hanno nessuno che li aiuti; questa è la ragione per cui io sono qui; non per animosità personale, vendetta o spirito vendicativo. Io sono dalla parte degli oppressi e dei maltrattati che alla vista di Dio sono altrettanto buoni e preziosi di voi.

«Voi non riconoscete la vostra Scrittura, quando la vedete.

«Voglio che capiate che io rispetto i diritti della più povera gente di colore, oppressa dal potere schiavista, nella stessa maniera che voi rispettate i diritti dei più ricchi e dei potenti.

«Voglio dire, inoltre, che fareste meglio – tutti voi, gente del Sud – a prepararvi per una sistemazione di questa questione che deve essere sistemata più presto di quanto voi non possiate aspettare. Potete liberarvi di me assai facilmente. Ve ne siete già liberati adesso; ma la questione deve ancora essere risolta – questa questione negra, voglio dire. La fine non è ancora arrivata».6

Thoreau se la prende con la società americana sua contemporanea, accusata di vigliaccheria e di ipocrisia. La stampa, con i suoi giornalisti servi, è oggetto del suo disprezzo. Allo stesso modo egli condanna tutti coloro che si definiscono cristiani, ma si comportano in modo del tutto non coerente con i valori evangelici:

Il cristiano moderno è un essere che ha accettato di recitare tutte le preghiere della liturgia purché, dopo, lo si lasci andare diritto a letto a dormire in pace.

[ … ] Ogni Sabbath mostra il bianco degli occhi ma il nero gli altri giorni della settimana. Il male è non solo un ristagno del sangue ma un ristagno dello spirito. Senza dubbio molti sono ben disposti ma sono pigri per costume e carattere e così non possono pensare che un uomo sia mosso da motivi più alti dei loro. Conseguentemente, decidono che quest’uomo è pazzo poiché sanno che essi non possono agire come lui, fintantoché resteranno se stessi.7

Atteggiamento che li porta a commettere il gravissimo crimine di giustiziare un uomo come John Brown:

Voi che dite di addolorarvi per la crocifissione di Cristo, pensate a quello che state per fare a chi si offrì come salvatore a quattro milioni di esseri umani.8

E Thoreau non può che prendere le difese di un simile uomo:

Sono qui per perorare la causa di Brown di fronte a voi. Non sto perorando per la sua vita ma per la sua reputazione – per la sua vita immortale; e così ciò diventa una causa completamente vostra, non più sua, per nulla. Circa milleottocento anni fa Cristo fu crocefisso; forse questa mattina il Capitano Brown è stato impiccato. Questi due uomini sono i due capi d’una catena che non è senza anelli. Egli non è il Vecchio Brown – ma un angelo di luce.9

E di uomini così ne abbiamo bisogno anche oggi, un bisogno disperato, in un’epoca in cui la politica non solo non ha valori, ma addirittura giunge, per bocca di alcuni, a condannare chi ne ha! In un tempo in cui l’etica è in esilio, eliminata dalla politica in nome di una presunta “efficienza” che nasconde solo l’interesse economico dei pochi potenti, un novello John Brown sarebbe un uomo prezioso. Non dico che sia necessaria la lotta violenta. Viviamo altri tempi e abbiamo altre possibilità. Né servono le stesse idee puritane che l’eroe americano aveva. A essere necessaria è la forza morale del Capitano Brown, la sua volontà indomita al servizio di un bene superiore. Perché se l’etica viene estromessa dalla politica, l’unico possibile risultato è l’oppressione del debole da parte del forte. La storia di questi nostri tristi giorni lo dimostra.

In tal senso l’”Apologia per John Brown” è di una sconcertante attualità, come attualissimi sono i discorsi dell’autore sulla vigliaccheria e sulla pigrizia intellettuale e morale della società, del potere cosiddetto “democratico” e dei media (ai tempi rappresentati solo dai giornali), gli esponenti dei quali sono definiti:

Cercatori di posto e fabbricatori di discorsi che non arrivano a deporre un solo uovo onesto ma consumano i loro nudi petti sopra un uovo di gesso.10

Giornalisti e direttori di giornali accusati (e come dargli torto!) di pensare solo agli introiti:

Di tutta l’orda di giornali e riviste non conosco un direttore in tutto il paese che stamperebbe deliberatamente notizie capaci di ridurre in maniera permanente e definitiva il numero degli abbonati. Non sarebbe vantaggioso. Come potrebbero stampare la verità?11

Servi del potere e del “quieto vivere” che accusano di fanatismo e pazzia gli uomini eccezionali come Brown, uomini che si arrogano una “sanità” e una “ragionevolezza” che solo sono mediocrità e becero interesse:

Suggeriscono l’idea che noi abbiamo la fortuna di avere un’accolita di sani direttori di giornali, gente «che non s’è sbagliata», ma che, se non altro, sa benissimo da che parte è imburrato il loro pane.12

In conclusione, va detto che Thoreau non auspica il sorgere di un nuovo Capitano Brown da seguire. Non dobbiamo, e non posso che essere d’accordo, attendere un “uomo della provvidenza”, ma prendere uomini come Brown come esempio e cercare di elevarci e agire come loro. L’invito non è dunque a seguire gli uomini eccezionali, ma a divenire tali sconfiggendo il nostro nemico interiore:

il nostro nemico è la universale legnosità di testa e di cuore, mancanza di vitalità nell’uomo, effetto del nostro vizio; di là nascono paure, superstizioni, bigotteria, persecuzioni e ogni tipo di schiavitù.13

Una sfida per tutti noi.

Enrico Proserpio

1Henry David Thoreau, “La disobbedienza civile”, edizioni BUR, 2015, pagina 41.
2Henry David Thoreau, “La disobbedienza civile”, edizioni BUR, 2015, pagina 41.
3Henry David Thoreau, “La disobbedienza civile”, edizioni BUR, 2015, pagina 34.
4Henry David Thoreau,”Apologia per John Brown”, edizioni BUR, 2015, pagina 67.
5Henry David Thoreau,”Apologia per John Brown”, edizioni BUR, 2015, pagine 66 – 67.
6Henry David Thoreau,”Apologia per John Brown”, edizioni BUR, 2015, pagine 102 – 103.
7Henry David Thoreau,”Apologia per John Brown”, edizioni BUR, 2015, pagina 78.
8Henry David Thoreau,”Apologia per John Brown”, edizioni BUR, 2015, pagina 100.
9Henry David Thoreau,”Apologia per John Brown”, edizioni BUR, 2015, pagina 101.
10Henry David Thoreau,”Apologia per John Brown”, edizioni BUR, 2015, pagina 80.
11Henry David Thoreau,”Apologia per John Brown”, edizioni BUR, 2015, pagine 80 – 81.
12Henry David Thoreau,”Apologia per John Brown”, edizioni BUR, 2015, pagina 81.
13Henry David Thoreau,”Apologia per John Brown”, edizioni BUR, 2015, pagina 77.
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