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venerdì, 26 Aprile, 2024

Come il Coronavirus ha distrutto la moda

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di Stefano Sannino

Indubbiamente il settore moda è uno tra i più colpiti dalla crisi del Coronavirus: se a Febbraio ad inizio emergenza, si stimavano perdite per il 10-15% del fatturato, a Marzo molte aziende si sono trovate con un fatturato praticamente nullo e la Federazione Moda Italia parla di cali complessivi per il 2020 pari al 50% dell’intero fatturato del settore moda.
Fino allo scorso anno, il settore fashion rappresentato da Confindustria Moda era composto da circa 66 mila imprese con un fatturato pari a 95,5 miliardi di euro e che, nel loro insieme, davano lavoro a circa 580 mila persone.

Oggi, in piena emergenza Coronavirus, il settore fashion conta esattamente 114.813 punti vendita chiusi ed oltre 300.000 addetti alle vendite a casa. È proprio Federazione Moda che lancia un appello al Governo, per aver trascurato il settore moda nel decreto Cura Italia, dimenticandosi de facto di un settore che ha una rilevanza fondamentale sul PIL nazionale.
Ma non solo: nonostante il lock down della filiera produttiva tessile e dei punti vendita, molte imprese del settore si sono trovate a dover sostenere gli affitti del mese di Marzo, senza avere la possibilità di vendere alcunché (online escluso).

Proprio il Presidente di questa associazione di categoria ha deciso quindi, a Marzo, di inviare una lettera a tutti i locatori di spazi dedicati al settore moda, invitandoli a sospendere i pagamenti degli affitti in virtù della grande crisi che ha colpito il settore.

Nonostante queste difficoltà economiche, molte aziende del settore hanno comunque deciso di scendere in campo per aiutare la Nazione, producendo gratuitamente camici o mascherine e distribuendole agli ospedali; lasciando però da parte tutti gli altri problemi derivanti da una sospensione delle vendite e della produzione regolare.

Al dio là del problema economico, rimane ad esempio comunque la grande difficoltà che le aziende di moda avranno nel riuscire a rispettare la presentazioni delle stagioni e delle collezioni: é quasi certo, per esempio, che la settimana moda uomo scalerà a settembre, unendosi a quella della moda donna, sebbene poi non siano nemmeno certi gli eventi di settembre.

Giorgio Armani ha approfittato di questa crisi per lanciare, al contrario, un messaggio di speranza ed un appello a tutti i suoi colleghi: “Non ha senso che una mia giacca, o un mio tailleur vivano in negozio per tre settimane, diventino immediatamente obsoleti, e vengano sostituiti da merce nuova, che non è poi troppo diversa da quella che l’ha preceduta. Io non lavoro così, trovo sia immorale farlo”; parole dire ma che lanciano un chiaro segnale: la moda non può più sostenere i ritmi del settore fast fashion, continuare a presentare sei collezioni l’anno è irresponsabile sia sotto il punto di vista economico che dai punti di vista etico ed ambientale.
Armani invita la moda ad approfittare di questa situazione di crisi per rallentare, per reinventarsi.
La grande crisi che ci sta colpendo e che ci colpirà deve essere il movente

per un vero e reale cambiamento non solo nell’etica del fashion, ma anche un cambiamento di posizione verso un sistema che se continuasse così sarebbe solamente destinato ad implodere nuovamente.
Meno collezioni dunque e, probabilmente, anche meno fatturato, ma aziende più sane, qualità maggiore dei prodotti e minor impatto ambientale: questa è la ricetta che propone Armani al sistema, lanciando un’idea di cambiamento che, qualora venisse accettata, rivoluzionerebbe la Moda così come la conosciamo.

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